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Seconda casa: le bollette della luce delle ferie sono un salasso, fino a 262 euro

Chi dispone di una seconda casa in cui trascorrere le vacanze, quest’estate dovrà fare i conti con fatture della luce molto salate. Un’indagine SOStariffe.it ha stimato l’importo delle utenze di luce, gas e internet per tre utenti tipo (single, coppia e famiglia) per quest’estate. È emerso che i costi per la fornitura di energia elettrica incidono fino al 83% della spesa totale.

Le vacanze estive del 2020 per la maggior parte degli italiani sono state per lo più all’insegna del “turismo di prossimità”. Brevi gite fuori porta e per il resto soggiorni nelle seconde case, per chi può contare su un’altra residenza dove trascorrere giorni di relax e spensieratezza. Ma la permanenza nella villa o nella casa al mare comporta una serie di spese per luce, gas e per la connessione internet.

L’ultimo osservatorio SOStariffe.it ha simulato le fatture della seconda casa di tre utenti tipo del mercato libero: un single, una coppia e una famiglia di quattro persone. Per questi utenti, è stato ipotizzando un soggiorno di un mese nell’appartamento di villeggiatura. Il costo che più incide sui consumi delle vacanze è quello per la luce: un vero salasso se paragonato ai costi di gas e connessione internet.

L’energia elettrica incide dal 70% all’83% sulla spesa totale
La simulazione ha ipotizzato una permanenza di un mese in una seconda casa in Liguria. Una villetta con una superficie di 60 metri quadri in su e un contatore della luce con potenza impegnata pari a 3 kW. I costi registrati tengono conto delle offerte luce e gas del mercato libero nel mese di luglio 2020 per i tre clienti tipo e delle offerte internet mobile per single e coppia e internet a tempo da rete fissa per la famiglia. Nel complesso, i single sono quelli che pagano bollette della luce più salate (fino all’83,17% della spesa totale per le utenze).

Single: la bolletta estiva della luce è proibitiva (circa 224 euro per un mese)
Il primo profilo di consumo simulato è quello di un single. Un individuo in vacanza da solo nella seconda casa pagherà per le utenze una media totale di 270,35 euro. La somma andrà a coprire in prevalenza le bollette della luce.

Per questo profilo, l’indagine ha ipotizzato un consumo medio di 80 kWh di energia elettrica per un soggiorno di quattro settimane. Questo dato si tradurrà in una spesa complessiva di ben 224,84 euro di fattura della luce (pari all’83, 17% del totale per le utenze). Per il gas, invece, con un consumo medio stimato di 107 Smc, si registrerà una spesa di 34,66 euro. Infine, per connettersi dalla località di vacanza, in modalità mobile WiFi e disponendo di un’offerta internet mobile, la spesa registrata sarà di circa 10,85 euro in un mese (solo il 4,01% del totale).

Coppie: luce alle stelle (fino a 249 euro) ma anche il gas si fa sentire (46 euro)
Il secondo profilo di consumo esaminato è quello di una coppia. Nel complesso, la spesa totale per le utenze per due è di 306,75 euro. A conti fatti, poco di più rispetto al single, a fronte dell’utilizzo degli stessi servizi da parte di due individui.

Anche in questo caso è la bolletta della luce a incidere maggiormente (circa 81,35% del totale). La coppia, infatti, pagherà per un mese una bolletta di 249,53 euro, per un consumo di energia elettrica ipotizzato di 200 kWh.

C’è da dire, però, che in questo caso il gas pesa di più sul totale delle utenze (15,12% della spesa complessiva). Per questo profilo, si è ipotizzato un consumo mensile di 128 Smc. Questo dato, nel mercato libero, dà luogo a una bolletta di 46,37 euro.

Per completare i dati di spera di una coppia, bisogna considerare la connessione domestica che risulta una voce di spesa minima se rapportata alle altre. In questo caso, il costo sarà di 10,85 euro (pari al 3,54% del totale) per navigare sempre in modalità WiFi e con offerta Internet mobile.

Famiglia: in quattro si spende di più per navigare (circa 40 euro)
Nel caso della famiglia di quattro persone la spesa complessiva per le utenze durante un mese di villeggiatura è pari a 373,07 euro. In questo caso, i costi sono distribuiti in modo più omogeneo tra i vari servizi di cui si usufruisce.

Quella dell’energia elettrica resta, anche per la famiglia, la bolletta più salata, aggirandosi su 262,55 euro in media per un consumo di 300 kWh. Tuttavia, il costo della luce incide meno sul bilancio delle vacanze rispetto agli altri clienti-tipo esaminati (“solo” per il 70,38%).

In compenso la famiglia risente di più delle bollette del gas, trovandosi a pagare circa 70,62 euro per un fabbisogno di 161 Smc (che incide al 18,93% sul totale utenze). Infine, dobbiamo mettere in conto i costi per non rinunciare a internet neanche in vacanza: un nucleo di quattro componenti per navigare con una connessione casa a tempo potrà arrivare a spendere anche 39,90 euro in un mese.

Rispetto a single e coppie, dunque, i costi di connessione hanno un’incidenza più elevata sulla spesa mensile delle famiglie (10,70% del totale).

 




Coronavirus, Fondazione Gimbe: risalgono i contagi, ma ancora nessun impatto su ospedali

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 30 giugno-6 luglio 2021, rispetto alla precedente, un incremento di nuovi casi (5.571 vs 5.306) (figura 1); in calo invece i decessi (162 vs 220) (figura 2), i casi attualmente positivi (42.579 vs 52.824), le persone in isolamento domiciliare (41.121 vs 50.878), i ricoveri con sintomi (1.271 vs 1.676) e le terapie intensive (187 vs 270) (figura 3). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 162 (-26,4%)
  • Terapia intensiva: -83 (-30,7%)
  • Ricoverati con sintomi: -405 (-24,2%)
  • Isolamento domiciliare: -9.757 (-19,2%)
  • Nuovi casi: 5.571 (+5%)
  • Casi attualmente positivi: -10.245 (-19,4%)

«Sul fronte dei nuovi casi settimanali – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dopo 15 settimane consecutive di discesa si rileva un incremento del 5% rispetto alla settimana precedente.  Anche l’attività di testing, dopo 7 settimane di calo, registra un aumento del 15,5%, continuando tuttavia ad attestarsi su numeri troppo bassi, con conseguente sottostima dei nuovi casi e insufficiente tracciamento dei contatti». Dalla settimana 5-11 maggio il numero di persone testate settimanalmente si è progressivamente ridotto del 60,3%, passando da 662.549 a 263.213, per poi risalire questa settimana a 303.969 (figura 4). In 11 Regioni si registra un’inversione di tendenza con un incremento percentuale dei nuovi casi rispetto alla settimana precedente, mentre le restanti 10 Regioni si confermano in calo (tabella). I decessi, dopo l’apparente stabilizzazione della scorsa settimana verosimilmente imputabile a ricalcoli, hanno ripreso a scendere attestandosi nell’ultima settimana a 162 con una media di 23 al giorno rispetto ai 31 della settimana precedente.

«Il trend dei pazienti ospedalizzati – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – prosegue la sua discesa sia in area medica che in terapia intensiva, dove l’occupazione di posti letto da parte dei pazienti COVID si attesta al 2%. Tutte le Regioni registrano valori inferiori al 10% e sono 8 le Regioni che non contano pazienti COVID ricoverati in area critica». In dettaglio, dal picco del 6 aprile i posti letto occupati in area medica sono scesi da 29.337 a 1.271 (-95,7%) e quelli in terapia intensiva da 3.743 a 187 (-95%). Le persone in isolamento domiciliare, dal picco del 28 marzo, sono passate da 540.855 a 41.121 (-94,2%). «Gli ingressi giornalieri in terapia intensiva – spiega Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – sono in calo da oltre 3 mesi e la media mobile a 7 giorni è di 5 ingressi/die» (figura 5).

Vaccini: forniture. Al 7 luglio (aggiornamento ore 6.12) sono state consegnate 60.989.653 dosi, pari all’80% di quelle previste per il 1° semestre 2021 (figura 6). In dettaglio:

Dosi di vaccini 1° semestre 2021
Vaccino Dosi previste Dosi consegnate
(% su dosi previste)
Dosi somministrate
(% su dosi consegnate)
Pfizer/BioNTech 41.463.630 41.019.070 (98,9%) 38.923.688 (94,9%)
Moderna 5.980.000 5.940.681 (99,3%) 5.339.711 (89,9%)
AstraZeneca 14.158.500 11.775.295 (83,2%) 9.409.833 (79,9%)
Johnson & Johnson 7.307.292 2.254.607 (30,9%) 1.254.600 (55,6%)
CureVac 7.314.904  (0,0%)  (0,0%)
TOTALE 76.224.326 60.989.653 (80%) 54.927.832 (90,1%)
Elaborazione GIMBE su dati Ministero Salute, Commissario Straordinario COVID-19
Aggiornamento: 7 luglio 2021 ore 06:12

«Rispetto alle forniture stimate nel Piano vaccinale – spiega il Presidente – nel secondo trimestre sono state consegnate 15.234.673 dosi in meno rispetto al previsto, sia per la mancata autorizzazione di CureVac (48% delle dosi mancanti), sia per le consegne inferiori all’atteso da parte di AstraZeneca (-2.383.205 dosi, 15,6% del totale) e Johnson & Johnson (-5.052.685 dosi, 33,2% del totale)». Per il terzo trimestre, invece, disponiamo “sulla carta” di 45.496.439 dosi di vaccini a mRna (48,3%), 41.950.684 dosi di vaccini a vettore adenovirale (44,5%), oltre a 6.640.000 dosi del vaccino di CureVac che, non avendo superato con successo i test clinici, dovrebbero essere eliminate nel prossimo aggiornamento del piano delle forniture, attualmente fermo al 23 aprile 2021 (figura 7).

Vaccini: somministrazioni. Al 7 luglio (aggiornamento ore 6.12), il 59,6% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino (n. 35.323.440) e il 36,4% ha completato il ciclo vaccinale (n. 21.593.307) (figura 8). Nell’ultima settimana si è registrata una nuova flessione delle somministrazioni che scendono del 4,1% (n. 3.734.039) (figura 9), con una media mobile a 7 giorni di 524.202 inoculazioni/die (figura 10). Un rallentamento imputabile all’incertezza relativa alle dosi in arrivo, oltre che alla diffidenza sempre maggiore nei confronti dei vaccini AstraZeneca e Johnson & Johnson. Rimangono tuttavia oltre 6 milioni di dosi già consegnate alle Regioni in attesa di essere inoculate: 2.095.382 di Pfizer/BioNTech, 600.970 di Moderna, 2.365.462 di AstraZeneca, 1.000.007 di Johnson & Johnson. «Va inoltre rilevato come la percentuale di prime dosi sul totale delle dosi somministrate – spiega Mosti – sia in riduzione da 3 settimane consecutive con un valore che dal 74% della settimana 7-13 giugno è sceso al 38% della settimana 28 giugno-4 luglio, con un calo del 49% in 3 settimane» (figura 11).

Vaccini: copertura degli over 60. L’87,2% ha ricevuto almeno una dose di vaccino, con alcune differenze regionali: se Puglia, Umbria e Lazio hanno superato il 90%, la Sicilia è ferma al 77,4%. In dettaglio:

  • Over 80: degli oltre 4,4 milioni, 4.042.314 (90,2%) hanno completato il ciclo vaccinale e 171.852 (3,8%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 12).
  • Fascia 70-79 anni: degli oltre 5,9 milioni, 4.006.932 (67,2%) hanno completato il ciclo vaccinale e 1.246.957 (20,9%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 13).
  • Fascia 60-69 anni: degli oltre 7,3 milioni, 4.084.858 (54,9%) hanno completato il ciclo vaccinale e 2.043.083 (27,5%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 14).

Variante delta. L’ultima indagine flash dell’Istituto Superiore di Sanità stima al 22,7% la prevalenza della variante delta con notevoli differenze regionali (range 0-70,6%). «I dati provenienti dall’Inghilterra e quelli, seppur preliminari, di Israele – puntualizza Gili – confermano l’elevata efficacia del ciclo vaccinale completo nel prevenire le forme severe di COVID-19, le ospedalizzazioni e i decessi. Tuttavia nel nostro Paese il tallone d’Achille della campagna vaccinale è attualmente rappresentato dagli oltre 5,75 milioni di over 60 a rischio di malattia grave privi di adeguata copertura contro la variante delta» (figura 15). In dettaglio, 2,29 milioni (12,8%) non hanno ancora ricevuto nemmeno una dose di vaccino con rilevanti differenze regionali (dal 22,6% della Sicilia al 7,7% della Puglia) (figura 16) e oltre 3,46 milioni (19,4%) devono completare il ciclo dopo la prima dose: 2.495.962 con AstraZeneca, 837.052 con Pfizer-BioNTech, 128.878 con Moderna. Peraltro, il trend di somministrazione delle prime dosi per fasce di età conferma ormai l’appiattimento delle curve degli over 80 e delle fasce 70-79 e 60-69 e registra una flessione da oltre 4 settimane per la fascia 50-59 anni e da circa 2 settimane per la fascia 40-49 (figura 17), seppure con notevoli differenze nelle percentuali di copertura tra le varie classi anagrafiche (figura 18).

Criticità campagna vaccinale. A poco più di 6 mesi dall’inizio della campagna vaccinale la Fondazione GIMBE rileva le seguenti criticità:

  • Disponibilità di dosi
    • Il numero di dosi consegnate è nettamente inferiore all’atteso: -14.266.090 (-50,5%) nel 1° trimestre e -15.234.673 (-20%) nel 2° trimestre.
    • Le consegne delle aziende produttrici, fatta eccezione per Pfizer/BioNTech, sono state discontinue per tempistiche e quantità, rendendo più difficile la programmazione regionale.
    • Nonostante una consistente disponibilità residua (oltre 3,36 milioni di dosi al 7 luglio 2021), i vaccini a vettore adenovirale non riescono ad essere adeguatamente impiegati sia per le modifiche alle indicazioni d’uso per fasce d’età sia per la crescente diffidenza della popolazione, rendendo la campagna sempre più dipendente dai vaccini a mRNA.
  • Rallentamento nella somministrazione delle prime dosi
    • L’accelerazione impressa alla campagna vaccinale a partire dal mese di aprile determina in questo momento la necessità di somministrare un elevato numero di richiami, riducendo nel breve termine la possibilità di effettuare prime dosi negli under 50, vista anche l’incertezza sulle forniture dei prossimi mesi che induce ad accantonare consistenti quantitativi per la somministrazione delle seconde dosi.
    • Negli over 50, soprattutto nella fascia 50-59 e 60-69, è evidente l’esitazione vaccinale, in particolare per i vaccini a vettore adenovirale, frutto di fake news e di una comunicazione istituzionale incapace di trasmettere il profilo rischio-beneficio della vaccinazione che può variare in relazione al contesto epidemiologico. Inoltre, nonostante i proclami, una vera strategia di chiamata attiva non è mai decollata a livello nazionale.

«L’incremento dei casi conseguente alla diffusione della variante delta – conclude Cartabellotta – destinato a continuare nelle prossime settimane non deve generare allarmismi. Certo il dato preoccupa per il suo potenziale impatto sugli ospedali che sarà inversamente proporzionale alla copertura vaccinale completa degli over 60. Ecco perché, oltre a potenziare contact tracing e sequenziamento, occorre sia mettere in campo strategie di chiamata attiva per gli over 60 che non si sono ancora prenotati, sia accelerare la somministrazione delle seconde dosi. Infine, siamo tutti chiamati a contribuire attivamente a rallentare la diffusione della variante delta mantenendo comportamenti responsabili ed evitando gli errori della scorsa estate».

 




Tre famiglie su quattro vivono in una casa di proprietà

Il 75,2% delle famiglie, tre su quattro, risiede in una casa di proprietà. Nel 2016 la superficie media di un’abitazione è pari a 117 m2 e il suo valore medio è di circa 162 mila euro (1.385 €/m2). In generale, le abitazioni possedute da persone fisiche hanno un valore complessivo, includendo anche le relative pertinenze, di 5.526 miliardi di euro, mentre il valore complessivo del patrimonio abitativo supera i 6.000 miliardi.

Sono alcuni dei dati contenuti nella settima edizione di Gli Immobili in Italia, la pubblicazione biennale che fotografa il patrimonio immobiliare italiano realizzata dall’Agenzia delle Entrate e dal Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia in collaborazione con il partner tecnologico Sogei.

Il volume, che quest’anno analizza i dati relativi al 2016, offre un quadro della ricchezza, dei redditi, degli utilizzi e dei valori imponibili degli immobili attraverso l’elaborazione di diverse fonti informative, tra cui il Catasto Edilizio Urbano e le quotazioni dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare, le dichiarazioni dei redditi, le banche dati dei versamenti delle Imposte sugli Immobili (IMU, TASI) e i dati del registro.

Come vengono utilizzati gli immobili – Quasi il 60% dei 57 milioni di immobili di proprietà di persone fisiche in Italia è utilizzato come abitazione principale o pertinenza. Secondo i dati indicati dai contribuenti nelle dichiarazioni dei redditi, infatti, circa il 34,2% degli immobili, pari a 19,5 milioni di unità, sono abitazioni principali, a cui si somma un ulteriore 23,3% relativo alle pertinenze (cantine, soffitte, box o posti auto), circa 13,3 milioni di unità. Ipotizzando che a ogni abitazione principale corrisponda un nucleo familiare, risulta che il 75,2% delle famiglie risiede in abitazioni di proprietà.

Gli immobili dati in locazione sono circa 6 milioni (10%), mentre 6,2 milioni (11%) sono quelli lasciati a disposizione. Infine, ammontano a circa 1,2 milioni, poco più del 2% del totale, gli immobili concessi in uso gratuito a familiari o ad altri comproprietari. Per quanto riguarda la distribuzione per aree territoriali, al Sud sono utilizzate come abitazione principale il 53,5% del totale delle abitazioni delle persone fisiche, al Nord e al Centro la quota è più elevata, rispettivamente 56,8% e 58,5%.

Quanto vale lo stock immobiliare in Italia – Nel 2016 il valore del patrimonio abitativo ammonta complessivamente a 6.004,4 miliardi, in leggero calo rispetto al 2015 (6.096,9 miliardi). Di questi, circa il 92%, pari a 5.526 miliardi si riferisce alle abitazioni e relative pertinenze di proprietà delle persone fisiche. Indipendentemente da chi sia il soggetto proprietario, poco meno del 50% del valore residenziale nazionale è concentrato al Nord, mentre il restante 50% è diviso tra l’area del Centro e l’area del Sud e delle Isole. Il patrimonio immobiliare residenziale più alto è in Lombardia (1.006,2 miliardi) e Lazio (761,8 miliardi).

Quanto vale mediamente un’abitazione – Nel 2016, un’abitazione in Italia vale mediamente 162 mila euro, con un valore unitario di 1.385 €/m2, in diminuzione dell’1,8% rispetto al 2015. Cali superiori al 3% si osservano nel Lazio, in Liguria e nelle Marche, in Toscana i valori perdono il 2,9% mentre per Veneto e Abruzzo la flessione è del 2,5%.

Sotto il 2% il calo nelle restanti regioni. Fanno eccezione solo la Lombardia, in cui il valore delle case è rimasto stabile, e il Trentino-Alto Adige, unica regione a segnare un aumento del valore medio, +0,8%. La superficie media di un’abitazione in Italia, calcolata come rapporto tra superficie complessiva e numero di unità abitative totali, è circa 117 m2. Le Regioni con abitazioni mediamente più grandi sono l’Umbria, il Friuli Venezia Giulia e il Veneto dove la superficie media è superiore a 130 m2. Le abitazioni di dimensioni mediamente più ridotte, sotto 100 m2, si riscontrano in Valle d’Aosta e Liguria.

Focus su Roma, Milano e Napoli – Anche in questa edizione, il rapporto contiene un’analisi più dettagliata rispetto ad alcune grandi città. Per quanto riguarda Roma, il valore complessivo delle abitazioni è pari a circa 460 miliardi.

La superficie media di un’abitazione ubicata nella capitale è 103 m2, con un valore medio di circa 323 mila euro (3.150 €/m2), superando i 740 mila euro nelle zone centrali più pregiate. Circa il 71% dello stock residenziale è impiegato come abitazione principale, il 14% delle abitazioni è data in locazione, e il 2,5% viene concesso in comodato ai familiari.

Superano, invece, la quota del 19% gli immobili dati in locazione a Milano e Napoli, mentre è più bassa la percentuale di case utilizzate come abitazione principale (rispettivamente il 66,1% e il 58,9%). Per quanto riguarda Milano, inoltre, il valore complessivo delle abitazioni stimato per il 2016 è pari a circa 207,4 miliardi di euro, con una superficie media per abitazione di 88 m2 e un valore medio di 261 mila euro (2.960 €/m2). Infine, a Napoli si evidenzia un valore complessivo delle abitazioni di circa 104,5 miliardi di euro. La superficie media di un’abitazione è 102 m2 e il valore medio 239 mila euro (2.353 €/m2).

L’identikit del proprietario…. – Nel 2016, dei 40,9 milioni che hanno presentato la dichiarazione dei redditi, oltre 25,8 milioni (il 63,1% del totale dei contribuenti) sono risultati proprietari di immobili o di quote immobiliari. I lavoratori dipendenti e i pensionati costituiscono l’82,5% dei proprietari di abitazioni (e relative pertinenze): più della metà dei proprietari risiede al Nord (50,7%), il 23,1% al Centro e il 26,2% al Sud e nelle Isole. Le donne proprietarie di abitazioni sono circa 800 mila in meno degli uomini ma in aumento rispetto al 2014.

Il valore delle loro abitazioni è maggiore, nonostante il reddito imponibile sia nettamente inferiore a quello degli uomini. In crescita sono, invece, i proprietari di abitazioni senza figli a carico che rappresentano il 76,6% del totale. Infine i proprietari di abitazioni con età inferiore ai 35 anni rappresentano il 6% della popolazione, quelli con età superiore ai 65 anni sono il 38% mentre quelli con età compresa tra i 35 e i 65 anni sono il 56%.

….e del locatore – Complessivamente nel 2016, gli individui locatori di immobili, in Italia, sono 4,3 milioni in lieve diminuzione rispetto al 2014. Il canone annuo medio risulta di circa 10,3 mila euro (da circa 9,7 mila euro del 2014). Il 42% dei locatori (circa 1,8 milioni) ha un’età compresa tra 51 e 70 anni; seguono i locatori con età compresa tra 31 e 50 anni e gli ultra settantenni (entrambe le categorie sono al 26%), mentre quelli con meno di 30 anni sono il 3% del totale.

La tassazione sulla casa – Dal 2016 il prelievo di natura patrimoniale sugli immobili si è ridotto di oltre 4,5 miliardi di euro a seguito principalmente dell’abolizione della Tasi sulle abitazioni principali non di lusso e di altre misure di alleggerimento del prelievo sugli immobili.

Le agevolazioni fiscali per ristrutturazioni e riqualificazione energetica e per interventi antisismici – Nel periodo 2007-2016 sono stati effettuati complessivamente 27,1 milioni di interventi per il recupero del patrimonio edilizio, per una spesa totale pari a 115,9 miliardi di euro circa e una spesa media per intervento di 4,3 mila euro. In particolare, nell’anno di imposta 2016, gli immobili per i quali sono stati dichiarati lavori di ristrutturazione sono quasi 1,5 milioni con un beneficio medio annuo (per immobile) di 465 euro.

Nel periodo 2013-2016 sono stati effettuati oltre 195mila interventi antisismici. L’ammontare totale di spesa per questa categoria di opere è pari a oltre 872 milioni di euro e la spesa media è di circa 4,4 mila euro. In particolare negli anni 2015-2016 gli immobili per i quali sono stati dichiarati interventi antisismici sono oltre 33mila con un beneficio fiscale medio annuo (per immobile) di 522 euro.




Offerte Luce e Gas a prezzo fisso: l’energia costa di più

Il calo dei prezzi all’ingrosso dell’energia ha riportato sul mercato le tariffe luce e gas a prezzo bloccato, quasi sparite nel corso della seconda metà del 2022 a causa di un mercato fortemente instabile. Torna d’attualità, quindi, il confronto con le tariffe indicizzate che consentono l’accesso diretto al prezzo all’ingrosso dell’energia, risultando più convenienti nel breve periodo.

In vista di nuovi possibili aumenti, anticipati dalle stime di ARERA dello scorso mese di aprile, scegliere tariffe a prezzo bloccato è ora un’opzione concreta per i consumatori. La nuova indagine dell’Osservatorio SOStariffe.it in collaborazione con Segugio.it si concentra proprio su questo tipo di tariffe con l’obiettivo di valutarne la convenienza in relazione alle possibili evoluzioni del mercato all’ingrosso nel corso dei prossimi mesi.

Tariffe luce e gas a prezzo bloccato: il costo dell’energia è al valore minimo rispetto ai 12 mesi precedenti

Le tariffe luce e gas a prezzo fisso non sono mai sparite dal mercato: più semplicemente, il prezzo fissato dai fornitori era troppo alto per rendere queste soluzioni competitive. L’instabilità dei mercati all’ingrosso, infatti, non permetteva ai fornitori di proporre tariffe vantaggiose. Le cose oggi sono cambiate. Le offerte del Mercato Libero a prezzo fisso disponibili a maggio 2023, infatti, tornano ad essere vantaggiose.

La miglior offerta luce a prezzo bloccato di maggio 2023 garantisce l’accesso ad un prezzo più basso (0,2 €/kWh) rispetto a quanto registrato nel corso dei 12 mesi precedenti. Si tratta di un valore pari a meno della metà del massimo rilevato lo scorso anno (0,55 €/kWh a settembre 2022).

Rispetto alle attuali condizioni del mercato all’ingrosso, il divario è ancora significativo. L’ultimo dato relativo all’indice PUN (Prezzo Unico Nazionale), punto di riferimento del mercato dell’energia elettrica in Italia, è pari a circa 0,13 €/kWh (dato di aprile 2023).

Un trend analogo viene registrato dall’andamento della miglior offerta gas a prezzo bloccato del Mercato Libero. Nel corso del mese di maggio 2023, infatti, la tariffa più conveniente presenta un prezzo del gas (0,71 €/Smc) inferiore rispetto a quanto registrato nel corso dei 12 mesi precedenti.

Si tratta di un valore molto lontano dai dati di ottobre 2022 (2,4 €/Smc) e che rende nuovamente competitive le soluzioni tariffarie a prezzo fisso. Il mercato all’ingrosso, in ogni caso, continua a proporre condizioni più vantaggiose a cui è possibile accedere con le tariffe indicizzate. L’indice PSV è ora pari a 0,479 €/Smc (dato aggiornato ad aprile 2023).

Le migliori tariffe luce e gas attivabili, in questo momento, presentano ancora un prezzo nettamente più alto rispetto alle tariffe indicizzate più convenienti del momento che consentono l’accesso diretto alle attuali quotazioni all’ingrosso. Per la luce, infatti, il prezzo è superiore del +49% mentre per il gas si registra un prezzo più alto del +48%.

Il calo registrato rispetto ai mesi scorsi, in ogni caso, rende queste offerte attrattive grazie alla possibilità di andare a bloccare il costo dell’energia nel lungo periodo, potendo contare su di una difesa contro i possibili rincari del mercato energetico che potrebbero arrivare nei prossimi mesi.

Tariffe a prezzo fisso o indicizzato? Le simulazioni dell’Osservatorio

Nella scelta tra tariffe a prezzo fisso e tariffe indicizzate non è possibile sapere in anticipo quale sarà la soluzione più vantaggiosa. Una tariffa a prezzo bloccato garantisce una protezione contro i rincari ma risulterà meno conveniente nel caso in cui le quotazioni all’ingrosso dovessero continuare a calare.

Allo stesso modo, però, se i prezzi all’ingrosso aumentano, chi ha scelto una tariffa a prezzo bloccato non sarà colpito dai rincari. Questo meccanismo ha permesso ai consumatori che hanno attivato una tariffa a prezzo bloccato prima dell’inizio della crisi energetica di evitare, almeno in parte, gli aumenti record registrati nel corso degli ultimi due anni.

Lo studio dell’Osservatorio ha, quindi, effettuato tre diverse simulazioni per analizzare la convenienza delle tariffe luce e gas a prezzo bloccato rispetto alle tariffe indicizzate che consentono agli utenti finali di poter accedere ai prezzi all’ingrosso, accettando però un aggiornamento del costo dell’energia su base mensile, in base all’andamento del mercato. Per valutare la spesa per i prossimi 12 mesi attivando una tariffa a prezzo bloccato e una a prezzo indicizzato sono stati considerati tre possibili evoluzioni del prezzo all’ingrosso dell’energia:

  1. nel corso dei prossimi 12 mesi il prezzo medio mensile degli indici del mercato all’ingrosso (PUN per la luce e PSV per il gas) resterà stabile
  2. nel corso dei prossimi 12 mesi il prezzo medio mensile degli indici del mercato all’ingrosso aumenterà del 25%, registrando un aumento leggermente superiore alle stime di ARERA diffuse lo scorso aprile
  3. nel corso dei prossimi 12 mesi il prezzo medio mensile degli indici del mercato all’ingrosso tornerà ad essere in linea con quello di dicembre 2022, prima dell’inizio del calo registrato nel 2023

Nei casi 1 e 2, così come nel caso in cui i prezzi di PUN e PSV dovessero continuare a diminuire nel corso dei prossimi mesi, le tariffe indicizzate continueranno ad essere più vantaggiose rispetto alle migliori tariffe a prezzo bloccato disponibili attualmente sul mercato. Nell’ipotesi indicata al punto 3, invece, attivare oggi tariffe a prezzo bloccato sarà più vantaggioso.

Un aumento significativo delle quotazioni all’ingrosso, infatti, esporrà nuovamente gli utenti che hanno scelto tariffe indicizzate a nuovi rincari. Chi, invece, opta oggi per tariffe a prezzo fisso per luce e gas eliminerà il rischio di aumenti in bolletta nel corso della seconda metà del 2023 ma dovrà accettare, almeno nel breve periodo, di dover fare i conti con una spesa mensile più alta.

Sia nel caso 1 che nel caso 2, scegliere una tariffa a prezzo fisso porterà ad una spesa maggiore rispetto all’attivazione di una tariffa indicizzata (rispettivamente di 502 euro e 244 euro). Questo per via del fatto che le tariffe indicizzate continueranno ad essere vantaggiose grazie ai valori ridotti degli indici del mercato all’ingrosso che determinano il prezzo applicato al cliente.

Nel caso 3, con un ritorno ai prezzi di dicembre 2022, le tariffe a prezzo bloccato entreranno “in azione” garantendo uno scudo dai rincari e comportando un risparmio di 985 euro sulla spesa annuale per le bollette di luce e gas rispetto alle tariffe indicizzate.

Per quanto riguarda l’energia elettrica, l’attivazione di una tariffa a prezzo bloccato comporta una spesa di 540 euro in un anno mentre con una tariffa indicizzata si va da un minimo di 362 euro ad un massimo di 783 euro, in base al caso considerato.

Situazione simile per il gas naturale: con una tariffa a prezzo bloccato attivata oggi, infatti, la spesa annuale per l’acquisto della materia prima sarà pari a 994 euro. Scegliendo una tariffa indicizzata, invece, bisognerà mettere in conto una spesa compresa tra 671 euro e 1.736 euro, in base a quale dei tre casi della simulazione si concretizzerà.

Per determinare la spesa per luce e gas è stato considerato il profilo della “famiglia tipo” (consumo annuo di 2.700 kWh e potenza impegnata di 3 kW per l’energia elettrica e di 1.400 Smc per il gas naturale, con una fornitura attiva a Milano). I dati relativi alla spesa annuale per luce e gas sono al netto dei componenti della bolletta non legati alla tariffa attivata e uguali per tutti i clienti domestici

Tariffe a prezzo fisso o indicizzato? Ecco come scegliere la più adatta alle proprie necessità

Per scegliere le tariffe luce e gas più convenienti è possibile fare riferimento alla comparazione online accessibile tramite SOStariffe.it. Basta indicare una stima del proprio consumo (recuperando il dato dall’ultima bolletta o calcolandolo con il tool integrato) per individuare subito le tariffe più vantaggiose da attivare per alleggerire il più possibile le bollette nei prossimi mesi.

Come confermano i dati raccolti dall’indagine, puntare sulle tariffe indicizzate è la scelta giusta per i seguenti profili di consumatore tipo:

  • chi vuole ottenere un risparmio immediato in bolletta, accedendo al prezzo più basso possibile dell’energia
  • chi è pronto a seguire l’andamento del mercato all’ingrosso e, eventualmente, cambiare fornitore nel caso di aumento delle quotazioni passando, ad esempio, ad una tariffa a prezzo bloccato

Le tariffe a prezzo bloccato, ora che sono tornate ad avere condizioni più sostenibili, possono rappresentare la scelta ottimale per un consumatore che:

  • intende proteggersi dai futuri rincari del mercato energetico, accettando di pagare l’energia ad un prezzo più alto rispetto a quello del mercato all’ingrosso
  • vuole attivare una buona tariffa e non intende seguire periodicamente l’andamento del mercato all’ingrosso per cambiare fornitore in caso di aumenti delle quotazioni




Coronavirus, giocare d’anticipo sul virus per contenere la seconda ondata

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE registra nella settimana 16-22 settembre, rispetto alla precedente, un ulteriore incremento nel trend dei nuovi casi (10.907 vs 9.837) a fronte di un lieve aumento dei casi testati (385.324 vs 370.012).

Dal punto di vista epidemiologico crescono i casi attualmente positivi (45.489 vs 39.712) e, sul fronte degli ospedali, i pazienti ricoverati con sintomi (2.604 vs 2.222) e in terapia intensiva (239 vs 201). Dopo la sostanziale stabilità registrata nella settimana precedente, tornano a salire anche i decessi (105 vs 70).

In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:
Decessi: +35 (+50%)
Terapia intensiva: +38 (+18,9%)
Ricoverati con sintomi: +382 (+17,2%)
Nuovi casi: +10.907 (+10,9%)
Casi attualmente positivi: +5.777 (+14,5%)
Casi testati +15.312 (+4,1%)
Tamponi totali: +52.304 (+9%)

«Nell’ultima settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – risale l’aumento dei nuovi casi, in conseguenza dell’incremento sia dei casi testati sia del rapporto positivi/casi testati. Si conferma inoltre la crescita costante dei pazienti ospedalizzati con sintomi e di quelli in terapia intensiva».

Nell’ambito di una circolazione endemica del virus, l’aumento dei focolai determina la progressiva crescita dei nuovi casi settimanali. Infatti, dai 1.408 nuovi casi della settimana 15-21 luglio siamo passati ai 10.907 di quella 16-22 settembre, con un incremento del rapporto positivi/casi testati dallo 0,8% al 2,8% , seppure con ampie variabilità regionali: dall’1,1% della Basilicata al 6,5% della Liguria.

Le dinamiche del contagio hanno generato il progressivo aumento dei casi attualmente positivi che da fine luglio sono quasi quadruplicati, da 12.482 a 45.489 , anche se distribuiti in maniera molto diversa tra le Regioni, in relazione a 3 variabili :
“Densità” del contagio: casi attualmente positivi per 100.000 abitanti al 22 settembre.
Velocità di diffusione del contagio: incremento percentuale dei casi nella settimana 16-22 settembre.

Capacità di testing delle Regioni: numero di casi testati per 100.000 abitanti nella settimana 16-22 settembre, che condiziona l’incremento percentuale dei casi e il numero dei casi attualmente positivi.

L’incremento progressivo dei casi attualmente positivi si riflette anche sull’aumento delle ospedalizzazioni: infatti, in 2 mesi i pazienti ricoverati con sintomi sono aumentati da 732 a 2.604 e quelli in terapia intensiva da 49 a 239 . «Fortunatamente – spiega Cartabellotta – la composizione percentuale dei casi attualmente positivi si mantiene costante: mediamente il 93-94% sono asintomatici/oligosintomatici; i pazienti ricoverati con sintomi rappresentano il 5-6% del totale e quelli in terapia intensiva lo 0,5%, anche se con differenze regionali rilevanti».

In particolare, la percentuale dei ricoverati con sintomi sui casi attivi va dal 2,4% della Provincia autonoma di Trento al 9,7% della Liguria; la percentuale di quelli in terapia intensiva dallo 0% della Provincia Autonoma di Trento e della Valle D’Aosta all’1,2% della Sardegna.

Nella settimana 16-22 settembre circa l’85% dei pazienti ricoverati con sintomi si concentrano in Lazio (482), Campania (360), Lombardia (294), Sicilia (224), Puglia (204), Emilia-Romagna (185), Piemonte (164), Liguria (148) e Veneto (141). L’82,8% dei pazienti in terapia intensiva si distribuisce in 9 Regioni: Lombardia (34), Lazio (31), Campania (23), Emilia-Romagna (22), Toscana (21), Sardegna (21), Liguria (17), Sicilia (15) e Veneto (14).

«Se da lato si tratta di numeri che al momento non generano alcun sovraccarico dei servizi ospedalieri – puntualizza il Presidente – dall’altro non bisogna sottovalutare il trend in costante aumento che impone di mantenere la guardia molto alta, soprattutto in alcune Regioni».

In particolare, i tassi di ospedalizzazione per 100.000 abitanti superiori alla media nazionale (4,7) sono in Liguria (10,6), Lazio (8,7), Sardegna (7,1), Campania (6,6), Puglia (5,3) e Sicilia (4,8).

Da 8 settimane consecutive i numeri confermano la crescita costante della curva epidemica e delle ospedalizzazioni, e al momento sono molte le variabili che non lasciano ipotizzare alcuna flessione: dalla riapertura delle scuole all’aumento della circolazione del virus nella stagione invernale; dal continuo incremento dei casi in paesi senza restrizioni di ingresso in Italia, alla convivenza tra coronavirus e influenza stagionale; dalla vita in ambienti chiusi e su mezzi pubblici più affollati, alla ventilata riapertura degli stadi.

«Se è vero che rispetto ad altri paesi europei – conclude Cartabellotta – manteniamo ancora un vantaggio rilevante grazie ad un lockdown più tempestivo, intenso e prolungato e a riaperture più graduali, non è il caso di adagiarsi sugli allori, ma bisogna giocare d’anticipo sul coronavirus per contenere la seconda ondata ed evitare sovraccarichi del sistema sanitario.

Innanzitutto, serve un potenziamento consistente del sistema di testing & tracing oltre che adeguate misure per l’isolamento domiciliare; in secondo luogo devono essere garantite le coperture vaccinali a tutte le categorie a rischio; infine, bisogna assicurarsi che i servizi sanitari delle Regioni del centro-sud, meno avvezzi alla gestione dell’emergenza ospedaliera da COVID-19, siano adeguatamente organizzati e potenziati.

Tutti noi infine, oltre a rispettare rigorosamente tutte le misure raccomandate, siamo chiamati a proteggere al meglio gli anziani e le persone fragili, vista la notevole circolazione in ambito familiare del virus, soprattutto tra giovani asintomatici».




Monnezza 2.0, la gestione dei rifiuti in chiave digitale

Era il 1987 e Aldo Fabrizi,visibilmente commosso da quella commozione che soltanto le emozioni ingenue di un anziano vicino alla fine del viaggio può esprimere, fece un’ultima apparizione in televisione, recitando un sonetto ispirato alla celebre canzone “Buongiorno tristezza”, cantata da Claudio Villa. Il sonetto s’intitolava “Buongiorno monnezza” ed era una triste ode alla situazione imbarazzante della Capitale.

Bongiorno monnezza,
è l’alba e te ritrovo nella via,
è inutile ch’ aspetti,
‘n ce sta nissuno che te porta via.
Nell’aria che olezza
i variopinti montarozzi tuoi
ovunque tu sei
raggiungono l’altezza di un tramvai
vagano
a centinaia i gatti intorno a te…
chiedono
i forestieri, al vigile: “Scusi, che monumento è?”
Ma è tutta monnezza, è un’aria di folclore e di poesia
induce il turista a rimontà sul treno e scappà via

Da quel lontano giorno, sono passati più di 30 anni, il mondo è cambiato grazie alla digitalizzazione, ma la gestione dei rifiuti è rimasta tale e quale e “Buongiorno monnezza” è quanto di più attuale ci possa essere: un’ode efficace all’incapacità dei dirigenti e degli operatori che lavorano nelle aziende in cui viene gestito il ciclo deidei rifiuti. Tutto sommato, la differenza tra la gestione dei dati e la gestione dei rifiuti non è poi tanto diversa: può sembrare paradossale, ma entrambi, seppur per aspetti diversi, hanno un valore enorme e creano ricchezza. Il nuovo petrolio, direbbero i giornalisti del qualunquismo un tanto al chilo. I dati hanno un ciclo di vita che inizia dalla raccolta e termina nella produzione di conoscenza. Per i rifiuti vale lo stesso ragionamento: il loro ciclo di vita inizia dalla raccolta e termina nella produzione di nuovi prodotti, o materiali, attraverso il riciclo.

E il ciclo può terminare solo nel riciclo perché, c’è voluto del tempo per capirlo, le risorse di questo pianeta non sono infinite. Se per i dati, molto faticosamente, si tentano goffi tentativi di industrializzazione del ciclo produttivo, per i rifiuti, in molte città italiane, il problema è rimasto inchiodato alla raccolta e ai variopinti “montarozzi” di sacchi colorati, depositati fuori dai cassoni. Alcuni giorni fa, è apparsa sui giornali locali una notizia confortante: l’AMA, l’azienda municipalizzata che gestisce i rifiuti a Roma, ha pianificato la sostituzione totale dei vecchi cassonetti adibiti alla raccolta dell’immondizia.

Finalmente, ho pensato, e la mia mente ingenua, che soffre di visioni digitali, è andata subito ai contenitori smart o smart bin: connessi a internet, collegati a un sistema informativo a cui trasmettere i dati, autoalimentati dai pannelli solari, geolocalizzati, muniti di videocamere e sensori attraverso i quali misurare il peso, il volume, l’umidità, la temperatura e la quantità di rifiuti raccolti. Ho visto cittadini che, attraverso un’app a cui si accede tramite SPID, invece di fare le contorsioni per aprire dei coperchi mal progettati, ne comandavano l’apertura elettrica grazie a un motore alimentato da un accumulatore posizionato sul fondo del cassone e ricaricato dall’energia solare.

Ho visto sistemi informativi e di monitoraggio attraverso cui analizzare i dati e gestire una raccolta intelligente sulla base dell’effettivo stato di riempimento dei cassoni, ho visto notifiche e alert, tracciati dinamici e aggiornati in tempo reale da fornire agli operatori al posto dei giri approssimativi programmati dal capo squadra. Ho visto dashboard interattive attraverso cui modulare le tasse in base alla reale produzione dei rifiuti prodotti dai cittadini e dalle aziende e – ma quest’ultimo punto mi rendo conto che è abbastanza utopico- un sistema di tracciamento attraverso il quale capire in cosa (e da chi) vengono trasformati gli imballaggi e gli scarti, per misurare il valore dell’immondizia e l’efficienza dei sistemi di gestione e di raccolta attraverso degli indicatori prodotti dai dati raccolti.

Ho visto sistemi di intelligenza artificiale che identificano il tipo di rifiuto e registrano l’utilizzo improprio dei contenitori, sanzionando automaticamente gli “zozzoni” di turno. Ho visto sistemi di controllo pubblici delle aziende municipalizzate attraverso i quali far emergere le incapacità e le inefficienze dei dirigenti e dei dipendenti, e progetti di impianti di raccolta e trattamento dimensionati adeguatamente sulla base della produzione complessiva della spazzatura. In poche parole, ho visto come l’IOT (Internet Of Things) possa essere davvero utile per migliorare la vita nelle città in cui viviamo. Tutto ciò, in altre parti del mondo già esiste.

Dopo aver letto il titolo, le visioni digitali si sono ridotte a una triste presa di coscienza: il sonetto di Aldo Fabrizi rimarrà attuale per molti anni ancora. I nuovi contenitori, rispetto ai vecchi, di diverso avranno solamente il colore. Saranno colorati in base al tipo di rifiuto che dovranno ospitare. Una colorazione più efficace, per facilitare la raccolta differenziata. Naif. In linea con le direttive europee.

Tutto qua. Come se i romani fossero talmente deficienti, dopo oltre 15 anni di utilizzo, da non aver capito qual è il contenitore adatto a un certo tipo di rifiuto. I cittadini si lasciano andare al degrado se vengono costretti a vivere in un ambiente degradato. La storia, soprattutto quella della civiltà greca, dovrebbe aver insegnato cosa significhi coltivare la bellezza. I rifiuti abbandonati favoriscono l’inciviltà e l’abbandono di altri rifiuti. È vero, c’è una piccola parte di cittadini incivili che abbandona i rifiuti ingombranti davanti ai cassonetti: per questo le videocamere e un sistema efficiente di sanzioni sarebbero fondamentali.

Eppure, sui nuovi cassonetti non ci sarà nemmeno la vecchia tessera con la banda magnetica, ormai usata da più di vent’anni in alcuni comuni, per identificare e accertare il numero di utenti che utilizzano un certo contenitore della spazzatura e programmare una raccolta più organizzata. Un po’ di dati, sull’immondizia, servirebbero, quantomeno per non trovarsi sistematicamente nelle situazioni documentata tristemente ogni giorno dai cittadini.

 

C’è da dire che questa situazione a dir poco nauseabonda non è confinata soltanto alla Capitale, che ha un’estensione territoriale pari alla somma delle superficie di tutte le città metropolitane (con tutte le difficoltà gestionali che ne conseguono), ma si verifica in maniera ricorrente in molti altri centri urbani di grandi dimensioni. Però, seppur su una scala diversa, in termini di utenza, estensione territoriale e quantità di rifiuti prodotti, a Milano la situazione




Istat: a novembre gli occupati di 41mila unità

A novembre 2019, gli occupati crescono di 41 mila unità rispetto al mese precedente (+0,2%), con un tasso di occupazione che sale al 59,4% (+0,1 punti percentuali).

L’andamento dell’occupazione è sintesi di un aumento della componente femminile (+0,3%, pari a +35 mila) e di una sostanziale stabilità di quella maschile.

Gli occupati crescono tra i 25-34enni e gli ultracinquantenni, mentre calano nelle altre classi d’età; al contempo, aumentano i dipendenti permanenti (+67 mila) a fronte di una diminuzione sia dei dipendenti a termine (-4 mila) sia degli indipendenti (-22 mila).

In crescita risultano anche le persone in cerca di lavoro (+0,5%, pari a +12 mila unità nell’ultimo mese). L’andamento della disoccupazione è sintesi di un aumento per gli uomini (+1,2%, pari a +15 mila unità) e di una lieve diminuzione tra la donne (-0,2%, pari a -3 mila unità); crescono i disoccupati under 35, diminuiscono lievemente i 35-49enni e risultano stabili gli ultracinquantenni. Il tasso di disoccupazione risulta comunque stabile al 9,7%.

La stima complessiva degli inattivi tra i 15 e i 64 anni a novembre è in calo rispetto al mese precedente (-0,6%, pari a -72 mila unità), e la diminuzione riguarda entrambe le componenti di genere. Il tasso di inattività scende al 34,0% (-0,2 punti percentuali).

Anche nel confronto tra il trimestre settembre-novembre e quello precedente, l’occupazione risulta in crescita, seppure lieve (+0,1%, pari a +18 mila unità), con un aumento che si distribuisce tra entrambi i sessi. Nello stesso periodo aumentano sia i dipendenti a termine sia i permanenti (+62 mila nel complesso), mentre risultano in calo gli indipendenti (-0,8%, -43 mila); inoltre, si registrano segnali positivi per i 25-34enni e per gli over 50, negativi nelle altre classi.

Gli andamenti mensili si confermano nel trimestre anche per le persone in cerca di occupazione, che aumentano dello 0,3% (+7 mila), e per gli inattivi tra i 15 e i 64 anni, in diminuzione dello 0,4% (-59 mila).

Su base annua l’occupazione risulta in crescita (+1,2%, pari a +285 mila unità), l’espansione riguarda sia le donne sia gli uomini di tutte le classi d’età, tranne i 35-49enni. Tuttavia, al netto della componente demografica la variazione è positiva per tutte le classi di età. La crescita nell’anno è trainata dai dipendenti (+325 mila unità nel complesso) e in particolare dai permanenti (+283 mila), mentre calano gli indipendenti (-41 mila).

Nell’arco dei dodici mesi, l’aumento degli occupati si accompagna a un calo sia dei disoccupati (-7,1%, pari a -194 mila unità) sia degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-1,5%, pari a -203 mila).

 




Caldo: Coldiretti, tiene svegli 12 mln di italiani, trucchi per dormire

Il caldo aumenta i disagi per i circa 12 milioni di italiani che soffrono di insonnia con ansia, nervosismo, malumore, mal di testa e tensione muscolare acuite dall’afa nelle ore di riposo. E’ quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che per affrontare il balzo delle temperature un aiuto importante arriva dalla tavola con la dieta estiva del riposo. Per favorire il sonno – spiega la Coldiretti – è opportuno consumare alimenti semplici senza condimenti pesanti e frutta e verdura in quantità che aiutano a reidratare il corpo.

Afa e caldo rendono più difficile dormire bene è quindi consigliabile – evidenzia la Coldiretti – mangiare Angurie, meloni, albicocche, pesche, nettarine, ciliegie, nespole e susine aiutano a combattere l’afa, a idratarsi e a fare il pieno naturale di vitamine. Mentre fra le verdure che conciliano il sonno – ricorda la Coldiretti – al primo posto c’è la lattuga, seguita da radicchio rosso e aglio.

Frutta e verdura – spiega la Coldiretti – sono infatti alimenti che soddisfano molteplici esigenze del corpo: nutrono, dissetano, reintegrano i sali minerali persi con il sudore, riforniscono di vitamine, mantengono in efficienza l’apparato intestinale con il loro apporto di fibre e si oppongono all’azione dei radicali liberi prodotti nell’organismo dall’esposizione al sole, nel modo più naturale ed appetitoso possibile.

E’ anche importante favorire cibi che, in porzioni equilibrate – evidenzia Coldiretti – aiutano a rilassarsi: dalla pasta al riso, dall’orzo al pane, magari consumati freddi sotto forma di insalate, mentre ottimi sono anche i legumi, le uova bollite, la carne, il pesce, formaggi freschi. Ottima la frutta di stagione che con i suoi zuccheri naturali semplici aiuta ad alzare la serotonina.

L’alimentazione – riferisce la Coldiretti – è in stretto rapporto con il sonno. Meglio evitare quindi – continua la Coldiretti – di esagerare con cioccolato, cacao, the e caffè, oltre ai superalcolici che inducono un sonno di cattiva qualità con risveglio magari su cuscini e lenzuola bagnati di sudore, soprattutto quando c’è caldo afoso soprattutto durante notti con temperature minime molto alte come in questo periodo. Da bocciare– sottolinea la Coldiretti – piatti speziati con curry, pepe, paprika o con troppo sale, prodotti pronti in scatola e minestre con dado da cucina che rendono più difficile addormentarsi.

Una corretta alimentazione – spiega la Coldiretti – aiuta anche a superare la prova costume temuta da quasi un italiano su due (44,5%) a causa della sedentarietà e dell’alimentazione sbagliata, secondo una analisi della Coldiretti su dati Istat. E a tavola – continua la Coldiretti –, sono unanimemente riconosciuti i benefici della dieta mediterranea che, con frutta, verdura, pane, pasta, extravergine e il tradizionale bicchiere di vino consumati a tavola in pasti regolari. Non a caso la dieta mediterranea si è classificata come migliore dieta al mondo del 2022 davanti alla dash e alla flexariana, sulla base del best diets ranking elaborato dal media statunitense U.S. News & World’s Report’s, noto a livello globale per la redazione di classifiche e consigli per i consumatori.




Coronavirus, il contagio continua a correre. Prime spie rosse al centro-sud

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 23-29 settembre, rispetto alla precedente, un ulteriore incremento nel trend dei nuovi casi (12.114 vs 10.907) a fronte di un lieve aumento dei casi testati (394.396 vs 385.324).

Dal punto di vista epidemiologico crescono i casi attualmente positivi (50.630 vs 45.489) e, sul fronte degli ospedali, i pazienti ricoverati con sintomi (3.048 vs 2.604) e in terapia intensiva (271 vs 239). Aumentano anche i decessi (137 vs 105).

In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: +32 (+30,5%)
  • Terapia intensiva: +32 (+13,4%)
  • Ricoverati con sintomi: +444 (+17,1%)
  • Nuovi casi: +12.114 (+11,1%)
  • Casi attualmente positivi: +5.141 (+11,3%)
  • Casi testati +9.072 (+2,4%)
  • Tamponi totali: +20.344 (+3,2%)

«Nell’ultima settimana – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – continua l’ascesa della curva dei nuovi casi, principalmente per l’incremento del rapporto positivi/casi testati, oltre che, in misura minore, dei casi testati. Si conferma inoltre la crescita costante dei pazienti ospedalizzati con sintomi e di quelli in terapia intensiva». Da metà luglio i nuovi casi settimanali sono aumentati da poco più di 1.400 ad oltre 12.000, con incremento del rapporto positivi/casi testati dallo 0,8% al 3,1% , mentre i casi attualmente positivi sono più che quadruplicati: da 12.482 a 50.630 .

«L’aumento del rapporto positivi/casi testati – continua il Presidente – se da un lato conferma una circolazione più sostenuta del virus, indipendentemente dal numero di tamponi effettuati, dall’altro lascia intravedere le prime criticità in alcune Regioni, rendendo indifferibile un potenziamento della capacità di testing». In particolare, nella settimana 23-29 settembre, a fronte di una media nazionale del 3,1%, svettano i valori di Liguria (6,4%) e Campania (5,4%) .

Sul versante delle ospedalizzazioni, si registra un incremento dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva, che in poco più di 2 mesi sono aumentati rispettivamente da 732 a 3.048 e da 49 a 271 . «Se guardando al dato nazionale – puntualizza Cartabellotta – i numeri appaiono ancora bassi e non fanno registrare al momento particolari sovraccarichi dei servizi ospedalieri, iniziano ad emergere differenze regionali rilevanti». In particolare al 29 settembre ben 6 Regioni, quasi tutte del Centro-Sud, registrano tassi di ospedalizzazione per 100.000 abitanti superiori alla media nazionale di 5,5: Lazio (12,2), Liguria (10,6), Campania (7,8), Sardegna (7,4), Sicilia (6,2) e Puglia (5,6).

«Che la situazione nazionale sia sotto controllo – continua il Presidente – è documentato anche dalla composizione percentuale dei casi attualmente positivi che si mantiene costante dai primi di luglio. Mediamente il 93-94% dei contagiati sono in isolamento domiciliare perché asintomatici/oligosintomatici; il 5-6% sono ricoverati con sintomi e quelli in terapia intensiva sono lo 0,5%. Tuttavia, anche per questo indicatore le differenze regionali accendono ulteriori spie rosse». In alcune Regioni, infatti, la percentuale dei casi ospedalizzati è nettamente superiore alla media nazionale del 6,6% (figura 5): Sicilia (11,1%), Lazio (10,2%), Liguria (9,6%) Puglia (9,2%).

«Ormai da oltre 9 settimane consecutive – conclude Cartabellotta – i numeri confermano la crescita costante della curva epidemica e delle ospedalizzazioni: in assenza di variabili che portino ad una flessione della curva, bisogna prendere atto che il progressivo incremento dei casi attualmente positivi inizia a determinare dapprima segni di sofferenza del sistema di tracciamento da parte dei servizi territoriali e poi di sovraccarico ospedaliero, in particolare nelle Regioni del Centro-Sud.

Solo il potenziamento territoriale della gestione della pandemia permetterà di rallentare la risalita della curva epidemica: da un consistente rafforzamento del sistema di testing & tracing a misure adeguate di isolamento domiciliare per evitare contagi intra-familiari; da un’estensiva copertura della vaccinazione antinfluenzale (non solo delle categorie a rischio), al monitoraggio attivo dei pazienti in isolamento domiciliare».




Boom dell’e-commerce e dei negozi di vicinato, resiste la Gdo

Nel settore alimentare stanno radicalmente cambiando le abitudini d’acquisto dei consumatori, con mutamenti duraturi e irreversibili e ciò ha un forte impatto sulla produzione e la distribuzione alimentare, costringendo le aziende del settore a studiare in profondità i trend di cambiamento.

La grande distribuzione tiene ancora (anche se negli Usa comincia a dare chiari segni di sofferenza), ma crescono moltissimo da un lato un sistema di vendita relativamente nuovo come l’e-commerce che garantisce comodità, precisione e velocità, dall’altro l’antico sistema del negozio di vicinato che garantisce al consumatore di “non perdersi fra gli scaffali” e di vivere un’esperienza d’acquisto di qualità guidata dal venditore specializzato, che conosce i gusti e le abitudini del cliente.

Lo hanno affermato gli esperti intervenuti al primo incontro dell’undicesima edizione della rassegna “Economia sotto l’ombrellone”, in corso di svolgimento a Lignano Sabbiadoro, che si sono confrontati sul tema “La distribuzione alimentare fra locale e globale”: Paolo Ciani di Villa Food, Marco Tam di Greenway Group / Filare Italia e Luca Tonizzo di Venfri.

Stimolati dalle domande del moderatore Carlo Tomaso Parmegiani, responsabile editoriale Nord-Est di Eo Ipso, i tre relatori si sono poi confrontati sia sulle necessità per le aziende alimentari italiane di distribuire all’estero, sia sulla difficoltà a garantire una adeguata distribuzione alimentare nei piccoli borghi, soprattutto montani, a causa della mancanza di negozi.

«Per quanto riguarda la distribuzione all’estero bisogna sfruttare adeguatamente il Made in Italy che nell’alimentare ha un grande appeal -ha detto Tonizzo- e che può consentire alle aziende di produzione di trovare nuovi mercati contrastando la sofferenza che, comunque, si sta vivendo sul mercato interno».

«Nella distribuzione alimentare internazionale -ha confermato Tam- il marchio Made in Italy ha una grande forza, paragonabile a quello Made in Germany sui prodotti della meccanica, e noi dobbiamo assolutamente sfruttarlo, purtroppo, però, siamo carenti di protagonisti della Gdo internazionale di proprietà italiana e ciò ci pone in condizione di svantaggio rispetto, ad esempio, ai francesi che con catene distributive di proprietà danno priorità all’esportazione di prodotti Made in France nel mondo».

«Il food ormai -ha aggiunto Ciani- si è contaminato e oltre alla richiesta di prodotti local c’è una richiesta di prodotti global, si pensi allo zenzero che prima non esisteva e oggi è su tutte le nostre tavole, e questo offre grandi occasioni di distribuzione dei prodotti locali a livello internazionale e sicuramente i prodotti italiani hanno un grande appeal sui mercati esteri in tutto il mondo».

Sui negozi di montagna o dei piccoli borghi Tonizzo ha sottolineato come oggi essi facciano un vero e proprio “servizio sociale” e che le poche speranze di riuscire a tenerli aperti vengano da una crescita del turismo perché difficilmente un negozio riesce a reggere economicamente dove il mercato potenziale è così ristretto a causa del progressivo spopolamento. Al riguardo Tam ha sostenuto che è necessario un intervento legislativo che agevoli fiscalmente o in altri modi quegli “imprenditori coraggiosi” che decidono di tenere aperto un negozio nei piccoli borghi montani o isolati per fare un servizio alla comunità. Da parte sua Ciani, che ha alle spalle una lunga esperienza da amministratore regionale e la cui azienda ha sede in montagna, ha sottolineato di non credere molto nella politica dei sussidi, ma ritenere necessario rendere più vivibile la montagna, creando economia e aziende di eccellenza in quei luoghi, in modo che le persone siano invogliate a stabilirsi nei piccoli borghi, perché se la montagna continua a spopolarsi non ci sarà né contributo, né turismo, in grado di garantire l’esistenza duratura di un’attività commerciale.

I tre esperti hanno, poi, sottolineato come i grandi cambiamenti in atto nella distribuzione dipendono anche dalla sempre maggior attenzione del consumatore alla sostenibilità dei prodotti, alla loro qualità e agli aspetti salutistici della nutrizione.

«Le persone sicuramente -ha affermato Tam- desiderano prodotti sempre di maggior qualità, socialmente ed ecologicamente sostenibili, ma spesso non si rendono conto che tutto ciò ha un come contropartita un costo maggiore dei prodotti stessi e cercano, al contempo, prodotti sempre meno costosi. Negli anni, comunque, la richiesta di prodotti alimentari più sani e sostenibili continuerà a crescere».

«Oggi -ha confermato Tonizzo- l’etichetta è molto importante e tutta la filiera è responsabile del fatto che essa sia corretta e riporti tutte le informazioni richieste dai consumatori rispetto alla sostenibilità, alla salubrità, al benessere animale, alla tutela dei lavoratori, ecc.».

«C’è sicuramente un’evoluzione in corso -ha sottolineato Ciani- con un cambiamento di sensibilità del consumatore che è particolarmente spiccato nei più giovani. Oggi i ragazzi di 25/30 anni sono molto più attenti rispetto ai loro genitori e nonni. Ci sono prodotti che stanno sparendo da loro consumo, come ad esempio le carni di cavallo o di capretto, e altri molto richiesti e difficili da trovare come il pesce bio. Il trend principale per i prodotti del futuro è quello di avere la cosiddetta “etichetta bianca” ossia un’etichetta più pulita possibile senza conservanti, additivi e coloranti e che sia più “naturale” possibile. Senza dimenticare, però, ciò comporterà un aumento dei costi per i produttori e per i consumatori».

In conclusione, tutti e tre gli ospiti di “Economia sotto l’ombrellone” hanno concordato sull’aiuto che le nuove tecnologie possono dare per rendere sempre più naturali, sostenibili e salubri i prodotti che arrivano in casa. Ci sono, infatti, sistemi, come quelli adottati da Villa Food, di cottura a bassa temperatura e di conservazione ad alta pressione, che permettono di conservare a lungo le qualità dei prodotti senza additivi e conservanti, così come ci sono sistemi tecnologici di irrigazione e analisi con controllo a distanza delle coltivazioni, come quelli adottati da Filare Italia, per ridurre grandemente i consumi di acqua e fertilizzanti. Ci sono, poi, come ricordato dal titolare di Venfri, nuove tecnologie che permettono di automatizzare e controllare i magazzini delle aziende distributrici consentendo una migliore distribuzione dei prodotti deperibili, o di realizzare confezioni più sostenibili e leggere per ridurre l’inquinamento connesso alla distribuzione.

 

 

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L’undicesima edizione di Economia sotto l’Ombrellone è organizzata da Eo Ipso – comunicazione ed eventi con il patrocinio del Comune di Lignano Sabbiadoro e Turismo FVG. Co-main supporter: Greenway Group e Fidev Consulting; sponsor: Lignano Banda Larga, Villa Food, Venfri, Is Copy, Glp, Gabetti, Confidi Friuli, Karmasec e Calvin; sponsor tecnici: Filare Italia, Pineta Beach, Lignano Pineta Spa, Porto Turistico Marina Uno e Hotel Ristorante President. Media partner: Scriptorium Web-Tv.

 

I PROSSIMI INCONTRI

Ore 18.30, Chiosco numero 5 (Bandiera Svizzera), Lungomare Alberto Kechler 16, località Lignano Pineta a Lignano Sabbiadoro (UD)

 

Mercoledì 25 agosto

L’investimento immobiliare attraverso finanza e tecnologia

Mario Fumei – Wealth Advisor

Silvia Pasut – Gabetti Immobiliare

Pamela Campoblanco – Fidev Consulting

 

Mercoledì 1° settembre

Il futuro del turismo sulle due sponde del Tagliamento

Giorgio Ardito – Lignano Pineta Spa

Giuliana Basso – Consorzio Turistico Bibione Live

Alberto Granzotto – Faita Federcamping

Marco Zuin – Lignano Banda Larga