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Barometro Crif: il 2020 si apre con una crescita delle richieste di prestiti

Nel mese di gennaio il numero di interrogazioni registrate sul Sistema di Informazioni Creditizie di CRIF relativamente alle richieste di prestiti da parte delle famiglie italiane (nell’aggregato di prestiti personali e prestiti finalizzati) ha fatto segnare un +5,9% rispetto allo stesso mese del 2019.

Motore della performance positiva sono stati i prestiti personali (+9,7%), ma anche i prestiti finalizzati contribuiscono al risultato positivo, facendo segnare un +2,9%.
Andamento delle richieste di prestiti personali e finalizzati

L’ultima rilevazione fa però registrare una lieve frenata dell’importo medio richiesto, che nell’aggregato di prestiti personali e finalizzati risulta pari a 9.408 Euro (-2,7% rispetto allo stesso mese del 2019).

Entrando nel dettaglio, per quanto riguarda i prestiti finalizzati a gennaio il valore mediamente richiesto è stato pari a 6.914 Euro (-0,4% rispetto a gennaio 2019), mentre per prestiti personali si è attestato a 12.415 Euro (-5,8%).

LA DISTRIBUZIONE PER CLASSE DI DURATA
L’analisi della distribuzione delle richieste di prestiti per durata del finanziamento conferma che anche nel mese di gennaio è la classe superiore ai 5 anni quella in cui complessivamente si sono concentrate le preferenze degli italiani, con una quota pari al 26,2% del totale. In crescita l’incidenza dei piani di rimborso inferiori ai 12 mesi, che passano dal 15,8% del 2019 al 16,4%.

Per quanto riguarda i prestiti finalizzati, la classe in cui si è concentrato il maggior numero di richieste è quella inferiore ai 12 mesi, con il 22,7% del totale, malgrado un calo di 2,4 punti percentuali, mentre le richieste di prestiti personali si orientano sempre di più verso piani di rimborso superiori ai 5 anni, che arrivano a spiegare il 44,0% del totale.

“In questa fase caratterizzata da una veloce evoluzione dei comportamenti della clientela retail, gli istituti di credito stanno ponendo una grande attenzione verso quello che tecnicamente viene definito ‘instant lending’, dove si saldano le tradizionali dottrine di valutazione del merito creditizio con i nuovi paradigmi del credito veloce derivanti dall’entrata in vigore della PSD2, la nuova normativa europea che ha aperto l’era dell’open banking – commenta Simone Capecchi, Executive Director di CRIF -. Questo sta obbligando gli operatori di settore ad attrezzarsi con soluzioni e processi in grado di rispondere in modo sempre più tempestivo ed efficace alle esigenze della clientela”.




Bollette della luce gonfiate: cinque consigli per evitare fatture elevate

Le fatture dell’energia elettrica potrebbero riservare delle sorprese: dai consumi presunti, all’applicazione di clausole contrattuali errate, fino alla pretesa di arretrati oltre i due anni. Come farsi rispettare? Una guida con i consigli pratici degli esperti SOStariffe.it per pagare il giusto e pretendere, nel caso, il rimborso delle cifre ingiustamente versate

A partire dal primo aprile l’Arera, l’Authority di settore, ha rivisto al ribasso le tariffe della luce per il secondo trimestre del 2020 (-18,3%) per i clienti in regime di maggior tutela. Dunque almeno per il mercato tutelato, le bollette dell’energia elettrica dovrebbero essere più leggere. Ma ciò non sempre accade. Come mai? La fattura della luce potrebbe essere gonfiata rispetto ai consumi reali. SOStariffe.it ha stilato un elenco di cinque regole d’oro per smascherare i costi aggiuntivi e accertarci così di star pagando il giusto.

I consumi si controllano così
Anzitutto è buona norma imparare a leggere con attenzione la bolletta, per evitare di pagare ciò che non si deve, anche se siamo passati al mercato libero e abbiamo sottoscritto un’offerta luce conveniente. Teniamo conto che tra le voci di costo riportate sulla fattura ce ne sono alcune fisse:
– il costo della materia prima, deciso dal fornitore di energia e indicato sul contratto firmato;
- la spesa per trasportare l’energia dalle centrali a casa;
- quella per lettura e gestione del contatore, che cambia con i consumi;
- gli oneri di sistema.
A queste voci costanti si aggiungono poi diverse imposte, come l’IVA e le accise a cui di recente si è aggiunto il canone RAI che costa 90 euro all’anno, ma si paga 9 euro per volta in 10 mesi. Le bollette hanno un genere una periodicità bimestrale. I consumi riportati devono essere effettivi, cioè corrispondere ai valori riportati dal contatore.

Ricordarsi di comunicare l’autolettura
Le fatture potrebbero non essere ‘fedeli’ all’energia effettivamente consumata, ma basarsi invece su un calcolo presuntivo dell’energia stimata nel periodo considerato. I consumi riportati in bolletta infatti, possono comprendere sia i kWh effettivamente impiegati che quelli solo stimati.

Per scoprirlo dobbiamo tenere sotto controllo il contatore. Il modo per farlo è l’autolettura: ovvero comunicare al fornitore i dati riportati volta per volta sul nostro contatore. Controllare ogni bimestre il contatore ci aiuterà ad accorgerci se i valori riportati in bolletta non corrispondono al consumo reale. Se dovessimo notare delle difformità, rivolgiamoci al servizio clienti del nostro fornitore per farci inviare una nuova bolletta con i consumi effettivi. Pretendiamo inoltre il rimborso delle somme versate per errore.

Ad oggi i contatori della luce sono in molti casi smart meter, cioè contatori elettronici tele-gestiti, letti a distanza dal fornitore. Ce ne sono in servizio oltre 35 milioni. Se disponiamo di un contatore elettrico telegestito non dobbiamo comunicare nessuna lettura, poiché lo smart meter trasmette i dati rilevati in tempo reale ogni quarto d’ora e le fatture sono emesse in base ai consumi effettivi.

Ad ogni modo se vogliamo leggere quanto stiamo consumando, la gran parte dei modelli di contatore elettronico dispongono di un tasto grigio vicino al display, premendo il quale si potranno visualizzare il codice cliente, la potenza massima del contatore, e i dati di consumo in corrispondenza dei simboli A1, A2 e A3 che indicano la quantità di energia usata nelle varie fasce orarie (rispettivamente F1, F2 ed F3).
Se in casa abbiamo ancora il vecchio contatore tradizionale, invece, è importante ricordarsi di comunicare le cifre prima della virgola. Tutti i gestori mettono a disposizione appositi canali per trasmettere i dati rilevati: un numero telefonico, un’app per tablet e smartphone oppure un’area del proprio sito.

È la tariffa giusta per noi? Verificare il profilo di consumo
Al momento della firma del contratto ci viene assegnato un profilo di consumo, che poi ritroveremo riportato in bolletta, insieme al tipo di offerta sottoscritta, alla tensione della fornitura elettrica e alla potenza impegnata.

In genere si distingue tra uso domestico residente e non residente. Tuttavia il profilo che è stato selezionato in fase di firma del contratto potrebbe non essere applicato correttamente. Se le condizioni non vengono rispettate dobbiamo inviare un reclamo al fornitore. Al reclamo si dovranno allegare i documenti che attestano l’assegnazione del profilo a cui facciamo riferimento. Potremmo inoltre anche esigere un eventuale rimborso del prezzo ingiustamente pagato per l’errore del fornitore.

Come scoprire il fornitore non sta ai patti
Al pari del profilo di consumo, è importante controllare anche l’applicazione di tutte le altre clausole del contratto. Se ad esempio abbiamo stipulato un contratto di fornitura di energia con tariffa monoraria e nella bolletta ritroviamo la ripartizione dei consumi su due fasce orarie, allora c’è evidentemente un errore di applicazione delle clausole del contratto. Non ci resta che rivolgerci al servizio clienti del nostro fornitore o inoltrare un reclamo.
Bollette prescritte in 2 anni

A partire dal 2019 le bollette della luce si prescrivono in due anni e non più in cinque. Il diritto al pagamento del corrispettivo da parte del fornitore dunque viene meno passati i due anni dall’emissione. Se il fornitore ci richiede arretrati più vecchi di 24 mesi non siamo tenuti a pagare, né la compagnia potrà sospendere l’erogazione dell’energia per morosità. In caso in cui si riceva in bolletta la richiesta di pagare un importo caduto in prescrizione, bisognerà inviare un reclamo tramite raccomandata con ricevuta di ritorno.
Usare un comparatore per passare al mercato libero

 




Digital Europe, ecco il programma per la trasformazione digitale dell’Unione Europea

Sicurezza informatica, intelligenza artificiale, competenze digitali avanzate, supercalcolo e la garanzia di un ampio uso delle tecnologie digitali nella società e nell’economia. Questi gli obiettivi di Digital Europe, il programma di finanziamento UE per favorire la trasformazione digitale dell’Unione Europea che può contare su un budget complessivo di 7 miliardi e mezzo di euro da spendere fino al 2027.

Gli obbiettivi strategici che si inseriscono in una strategia europea più ampia e hanno come quadro di riferimento il MFF (Multiannual Financial Framework), ossia il bilancio pluriennale dell’UE, che delinea le strategie e le risorse disponibili per il periodo 2021-2027, sono i seguenti:

Horizon Europe,  il programma quadro dell’Unione europea per la ricerca e l’innovazione per il periodo 2021-2027
il programma CEF (Connecting Europe Facility), che si occupa di promuovere investimenti nelle infrastrutture strategiche, come banda larga e 5G
Creative Europe, il programma dedicato all’industria creativa e ai media
EU4Health, il programma di investimenti per la digitalizzazione del settore sanitario
la politica di coesione dell’Unione Europea, in riferimento agli obiettivi di sviluppo della rete di connettività (per ridurre le disuguaglianze tra i Paesi membri), di sostegno alle imprese e di sviluppo delle competenze digitali la strategia di trasformazione digitale del settore agricolo, che punta a sfruttare i Big Data per la politica agricola comune (CAP)
gli strumenti del Recovery and Resilient Facility (RRF), lo strumento europeo che mette a disposizione un totale di 723,8 miliardi di euro per la ripresa degli Stati membri dopo la pandemia

InvestEU, lo strumento di finanziamento per stimolare gli investimenti europei

Il work program per il biennio 2021-2022 indica le aree di intervento su cui l’UE aprirà dei bandi per promuovere la partecipazione di imprese private, affianco a soggetti comunitari:
High performance computing (HPC), gestito dall’Iniziativa europea sull’HPC (EuroHPC JU)
cyber security, che sarà gestita dall’ECC (European Cybersecurity Competence Network and Center), l’iniziativa europea che punta a creare un ecosistema industriale e di ricerca interconnesso a livello europeo sulla cyber sicurezza. In attesa che l’ECC sia operativo, il work program sarà gestito, ad interim, dal DG Connect, la Direzione generale della Commissione che si occupa delle politiche dell’Ue in materia di mercato unico digitale, sicurezza di Internet e scienza e innovazione digitale gli European Digital Innovation Hub (Edih), per cui è stato individuato un work program separato, in quanto le call che li riguardano hanno criteri diversi (gestiti da DG Connect)  main work program (il programma di lavoro principale), che copre obiettivi più specifici, gestito da DG Connect e EA HaDEA (l’agenzia esecutiva europea per la salute e il digitale).

Il main work program si concentrerà su quattro aree strategiche: l’Intelligenza Artificiale, cloud, i dati e sviluppo di programmi formativi (master) per le competenze digitali avanzate; azioni di cybersecurity e diffusione e miglior uso delle tecnologie (azioni a sostegno del Green deal, Blockchain, servizi pubblici e fiducia nella trasformazione digitale).

Le risorse
Vista l’entità degli interventi programmati, questi non saranno attivati contemporaneamente, ma saranno divisi in tre call. Le risorse complessive stanziate per il biennio ammontano a 1,38 miliardi di euro. Per la prima call – aperta lo scorso 17 novembre – sono stati stanziati circa 415 milioni di euro. Per la seconda, che sarà avviata nel primo trimestre del 2022, sono stati stanziati circa 250 milioni di euro e per la terza (che si aprirà nel terzo trimestre del 2022) circa 170 milioni di euro.




Boom dell’e-commerce e dei negozi di vicinato, resiste la Gdo

Nel settore alimentare stanno radicalmente cambiando le abitudini d’acquisto dei consumatori, con mutamenti duraturi e irreversibili e ciò ha un forte impatto sulla produzione e la distribuzione alimentare, costringendo le aziende del settore a studiare in profondità i trend di cambiamento.

La grande distribuzione tiene ancora (anche se negli Usa comincia a dare chiari segni di sofferenza), ma crescono moltissimo da un lato un sistema di vendita relativamente nuovo come l’e-commerce che garantisce comodità, precisione e velocità, dall’altro l’antico sistema del negozio di vicinato che garantisce al consumatore di “non perdersi fra gli scaffali” e di vivere un’esperienza d’acquisto di qualità guidata dal venditore specializzato, che conosce i gusti e le abitudini del cliente.

Lo hanno affermato gli esperti intervenuti al primo incontro dell’undicesima edizione della rassegna “Economia sotto l’ombrellone”, in corso di svolgimento a Lignano Sabbiadoro, che si sono confrontati sul tema “La distribuzione alimentare fra locale e globale”: Paolo Ciani di Villa Food, Marco Tam di Greenway Group / Filare Italia e Luca Tonizzo di Venfri.

Stimolati dalle domande del moderatore Carlo Tomaso Parmegiani, responsabile editoriale Nord-Est di Eo Ipso, i tre relatori si sono poi confrontati sia sulle necessità per le aziende alimentari italiane di distribuire all’estero, sia sulla difficoltà a garantire una adeguata distribuzione alimentare nei piccoli borghi, soprattutto montani, a causa della mancanza di negozi.

«Per quanto riguarda la distribuzione all’estero bisogna sfruttare adeguatamente il Made in Italy che nell’alimentare ha un grande appeal -ha detto Tonizzo- e che può consentire alle aziende di produzione di trovare nuovi mercati contrastando la sofferenza che, comunque, si sta vivendo sul mercato interno».

«Nella distribuzione alimentare internazionale -ha confermato Tam- il marchio Made in Italy ha una grande forza, paragonabile a quello Made in Germany sui prodotti della meccanica, e noi dobbiamo assolutamente sfruttarlo, purtroppo, però, siamo carenti di protagonisti della Gdo internazionale di proprietà italiana e ciò ci pone in condizione di svantaggio rispetto, ad esempio, ai francesi che con catene distributive di proprietà danno priorità all’esportazione di prodotti Made in France nel mondo».

«Il food ormai -ha aggiunto Ciani- si è contaminato e oltre alla richiesta di prodotti local c’è una richiesta di prodotti global, si pensi allo zenzero che prima non esisteva e oggi è su tutte le nostre tavole, e questo offre grandi occasioni di distribuzione dei prodotti locali a livello internazionale e sicuramente i prodotti italiani hanno un grande appeal sui mercati esteri in tutto il mondo».

Sui negozi di montagna o dei piccoli borghi Tonizzo ha sottolineato come oggi essi facciano un vero e proprio “servizio sociale” e che le poche speranze di riuscire a tenerli aperti vengano da una crescita del turismo perché difficilmente un negozio riesce a reggere economicamente dove il mercato potenziale è così ristretto a causa del progressivo spopolamento. Al riguardo Tam ha sostenuto che è necessario un intervento legislativo che agevoli fiscalmente o in altri modi quegli “imprenditori coraggiosi” che decidono di tenere aperto un negozio nei piccoli borghi montani o isolati per fare un servizio alla comunità. Da parte sua Ciani, che ha alle spalle una lunga esperienza da amministratore regionale e la cui azienda ha sede in montagna, ha sottolineato di non credere molto nella politica dei sussidi, ma ritenere necessario rendere più vivibile la montagna, creando economia e aziende di eccellenza in quei luoghi, in modo che le persone siano invogliate a stabilirsi nei piccoli borghi, perché se la montagna continua a spopolarsi non ci sarà né contributo, né turismo, in grado di garantire l’esistenza duratura di un’attività commerciale.

I tre esperti hanno, poi, sottolineato come i grandi cambiamenti in atto nella distribuzione dipendono anche dalla sempre maggior attenzione del consumatore alla sostenibilità dei prodotti, alla loro qualità e agli aspetti salutistici della nutrizione.

«Le persone sicuramente -ha affermato Tam- desiderano prodotti sempre di maggior qualità, socialmente ed ecologicamente sostenibili, ma spesso non si rendono conto che tutto ciò ha un come contropartita un costo maggiore dei prodotti stessi e cercano, al contempo, prodotti sempre meno costosi. Negli anni, comunque, la richiesta di prodotti alimentari più sani e sostenibili continuerà a crescere».

«Oggi -ha confermato Tonizzo- l’etichetta è molto importante e tutta la filiera è responsabile del fatto che essa sia corretta e riporti tutte le informazioni richieste dai consumatori rispetto alla sostenibilità, alla salubrità, al benessere animale, alla tutela dei lavoratori, ecc.».

«C’è sicuramente un’evoluzione in corso -ha sottolineato Ciani- con un cambiamento di sensibilità del consumatore che è particolarmente spiccato nei più giovani. Oggi i ragazzi di 25/30 anni sono molto più attenti rispetto ai loro genitori e nonni. Ci sono prodotti che stanno sparendo da loro consumo, come ad esempio le carni di cavallo o di capretto, e altri molto richiesti e difficili da trovare come il pesce bio. Il trend principale per i prodotti del futuro è quello di avere la cosiddetta “etichetta bianca” ossia un’etichetta più pulita possibile senza conservanti, additivi e coloranti e che sia più “naturale” possibile. Senza dimenticare, però, ciò comporterà un aumento dei costi per i produttori e per i consumatori».

In conclusione, tutti e tre gli ospiti di “Economia sotto l’ombrellone” hanno concordato sull’aiuto che le nuove tecnologie possono dare per rendere sempre più naturali, sostenibili e salubri i prodotti che arrivano in casa. Ci sono, infatti, sistemi, come quelli adottati da Villa Food, di cottura a bassa temperatura e di conservazione ad alta pressione, che permettono di conservare a lungo le qualità dei prodotti senza additivi e conservanti, così come ci sono sistemi tecnologici di irrigazione e analisi con controllo a distanza delle coltivazioni, come quelli adottati da Filare Italia, per ridurre grandemente i consumi di acqua e fertilizzanti. Ci sono, poi, come ricordato dal titolare di Venfri, nuove tecnologie che permettono di automatizzare e controllare i magazzini delle aziende distributrici consentendo una migliore distribuzione dei prodotti deperibili, o di realizzare confezioni più sostenibili e leggere per ridurre l’inquinamento connesso alla distribuzione.

 

 

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L’undicesima edizione di Economia sotto l’Ombrellone è organizzata da Eo Ipso – comunicazione ed eventi con il patrocinio del Comune di Lignano Sabbiadoro e Turismo FVG. Co-main supporter: Greenway Group e Fidev Consulting; sponsor: Lignano Banda Larga, Villa Food, Venfri, Is Copy, Glp, Gabetti, Confidi Friuli, Karmasec e Calvin; sponsor tecnici: Filare Italia, Pineta Beach, Lignano Pineta Spa, Porto Turistico Marina Uno e Hotel Ristorante President. Media partner: Scriptorium Web-Tv.

 

I PROSSIMI INCONTRI

Ore 18.30, Chiosco numero 5 (Bandiera Svizzera), Lungomare Alberto Kechler 16, località Lignano Pineta a Lignano Sabbiadoro (UD)

 

Mercoledì 25 agosto

L’investimento immobiliare attraverso finanza e tecnologia

Mario Fumei – Wealth Advisor

Silvia Pasut – Gabetti Immobiliare

Pamela Campoblanco – Fidev Consulting

 

Mercoledì 1° settembre

Il futuro del turismo sulle due sponde del Tagliamento

Giorgio Ardito – Lignano Pineta Spa

Giuliana Basso – Consorzio Turistico Bibione Live

Alberto Granzotto – Faita Federcamping

Marco Zuin – Lignano Banda Larga




Caldo: Coldiretti, tiene svegli 12 mln di italiani, trucchi per dormire

Il caldo aumenta i disagi per i circa 12 milioni di italiani che soffrono di insonnia con ansia, nervosismo, malumore, mal di testa e tensione muscolare acuite dall’afa nelle ore di riposo. E’ quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che per affrontare il balzo delle temperature un aiuto importante arriva dalla tavola con la dieta estiva del riposo. Per favorire il sonno – spiega la Coldiretti – è opportuno consumare alimenti semplici senza condimenti pesanti e frutta e verdura in quantità che aiutano a reidratare il corpo.

Afa e caldo rendono più difficile dormire bene è quindi consigliabile – evidenzia la Coldiretti – mangiare Angurie, meloni, albicocche, pesche, nettarine, ciliegie, nespole e susine aiutano a combattere l’afa, a idratarsi e a fare il pieno naturale di vitamine. Mentre fra le verdure che conciliano il sonno – ricorda la Coldiretti – al primo posto c’è la lattuga, seguita da radicchio rosso e aglio.

Frutta e verdura – spiega la Coldiretti – sono infatti alimenti che soddisfano molteplici esigenze del corpo: nutrono, dissetano, reintegrano i sali minerali persi con il sudore, riforniscono di vitamine, mantengono in efficienza l’apparato intestinale con il loro apporto di fibre e si oppongono all’azione dei radicali liberi prodotti nell’organismo dall’esposizione al sole, nel modo più naturale ed appetitoso possibile.

E’ anche importante favorire cibi che, in porzioni equilibrate – evidenzia Coldiretti – aiutano a rilassarsi: dalla pasta al riso, dall’orzo al pane, magari consumati freddi sotto forma di insalate, mentre ottimi sono anche i legumi, le uova bollite, la carne, il pesce, formaggi freschi. Ottima la frutta di stagione che con i suoi zuccheri naturali semplici aiuta ad alzare la serotonina.

L’alimentazione – riferisce la Coldiretti – è in stretto rapporto con il sonno. Meglio evitare quindi – continua la Coldiretti – di esagerare con cioccolato, cacao, the e caffè, oltre ai superalcolici che inducono un sonno di cattiva qualità con risveglio magari su cuscini e lenzuola bagnati di sudore, soprattutto quando c’è caldo afoso soprattutto durante notti con temperature minime molto alte come in questo periodo. Da bocciare– sottolinea la Coldiretti – piatti speziati con curry, pepe, paprika o con troppo sale, prodotti pronti in scatola e minestre con dado da cucina che rendono più difficile addormentarsi.

Una corretta alimentazione – spiega la Coldiretti – aiuta anche a superare la prova costume temuta da quasi un italiano su due (44,5%) a causa della sedentarietà e dell’alimentazione sbagliata, secondo una analisi della Coldiretti su dati Istat. E a tavola – continua la Coldiretti –, sono unanimemente riconosciuti i benefici della dieta mediterranea che, con frutta, verdura, pane, pasta, extravergine e il tradizionale bicchiere di vino consumati a tavola in pasti regolari. Non a caso la dieta mediterranea si è classificata come migliore dieta al mondo del 2022 davanti alla dash e alla flexariana, sulla base del best diets ranking elaborato dal media statunitense U.S. News & World’s Report’s, noto a livello globale per la redazione di classifiche e consigli per i consumatori.




Torna lo sviluppo foto nei supermecati

In Italia operano circa 43 milioni di smartphone. E’ stato calcolato che ogni smartphone scatta almeno 185 fotografie l’anno, scaricando nelle gallerie dei telefonini circa 8 miliardi di foto.
Quante di queste vengono sviluppate? E’ vero che parte di queste fotografie sono utilizzate, specie dai giovani, sui vari canali social, ma quanti consumatori stamperebbero parte dei loro scatti se avessero a disposizione, vicino casa, macchine automatiche di sviluppo immediato delle foto?

Il progetto di Cewe Italia è quello di diffondere i corner foto nei supermercati e nei drugstore, dove si va a fare la spesa alimentare, proprio come si usava ai tempi della fotografia analogica, quando si portavano i rullini al super. I risultati dei primi passi, un centinaio di corner di sviluppo foto nei punti vendita della Coop, di DM Drogherie, di Crai, di Migross (Gruppo Végé), sono positivi e si prevede una rapida espansione di questo servizio.

Il mercato dello sviluppo fotografico in Italia non è adeguato alle sue potenzialità, tanto più che si registra tra gli italiani un ritorno ai valori dei ricordi e della condivisione. E’ un mercato segnato da una crisi costante dei tradizionali negozi di fotografia e dall’emergere dello sviluppo on line.

I negozi dei fotografi sono 6.500, ma il loro fatturato è calato del 40% dal 2017 ad oggi, nonostante i fotografi abbiano diversificato la loro attività (matrimoni, video, fotografia commerciale). E l’emergenza pandemica ha colpito duramente questo comparto, tanto che si stima possano chiudere circa il 30% di questi negozi a fine 2022.

Lo sviluppo delle foto on line sta crescendo, specie tra i consumatori giovani (si ordina la stampa via web e poi le foto arrivano a casa con una normale spedizione postale), con una significativa espansione dal 2015 in avanti: oggi valgono il 70% dell’intero mercato (con PhotoSi e Cheerz leader di mercato). Il resto del mercato si divide tra i negozi dei fotografi e le stampanti ad hoc per la casa o l’ufficio.

I corner per la stampa immediata delle foto hanno, tuttavia, il vantaggio di saltare un passaggio, quello della consegna delle foto sviluppate, e quindi di poter proporre un prezzo concorrenziale. Consentono di sviluppare istantaneamente le foto (anche sotto forma di biglietti di auguri, cartoline e altro) servendosi del solo smartphone: nella postazione si troveranno già i cavetti per ogni tipo di cellulare, oppure si può optare per il collegamento bluetooth, non servono chiavette Usb, si paga in cassa.

Trovando il corner di sviluppo foto in ogni supermercato, i consumatori potrebbero facilmente scegliere di sviluppare alcune foto prima o dopo la spesa. Una scommessa, quella di Cewe, già vinta in Europa dove dispone già da tempo di 20mila corner foto nei punti vendita dei maggiori retailer.



Vaccino, terza dose e privacy: i chiarimenti del Garante

La previsione della somministrazione di una terza dose di vaccino accende, ancora una volta, i riflettori sulla privacy e rende necessario l’intervento del Garante.

Alla base di questa nuova “querelle” le affermazioni di Guido Bertolaso, coordinatore della campagna vaccinale della Lombardia, rilasciate a margine di un evento organizzato presso l’Ambasciata di Israele a Roma, secondo il quale la privacy limiterebbe la possibilità di chiamare e sollecitare gli assistiti alla somministrazione della terza dose di vaccino.

Ancora una volta la privacy viene additata di essere inutile ostacolo che rallenta o impedisce attività di vario genere, invocando, per contro, le molteplici attività di marketing che “subiamo” quotidianamente (secondo quanto riportato dalla stampa le parole di Bertolaso sarebbero “Il Green Pass è la punta dell’iceberg di un dramma che si chiama privacy: ma di che cosa stiamo parlando, veniamo ascoltati e chiamati per qualsiasi pubblicità e poi non possiamo neanche chiamare direttamente le persone per sollecitarle a fare la terza dose perché violiamo la privacy. Non fatemi parlare di privacy perché altrimenti rischio qualche denuncia”).

Emerge in maniera evidente e incontrovertibile come, per l’ennesima volta, la privacy viene invocata a sproposito, facendo confusione tra aspetti che devono essere considerati in modo autonomo perché concettualmente diversi.
È dovuto intervenire, quindi, il Garante per fare chiarezza e per ribadire, ancora una volta, che nel caso di chiamate per la somministrazione della terza dose di vaccino non si viola la privacy.

Nel comunicato del 5 novembre [doc web 9715558] si legge testualmente “L’Autorità ribadisce quindi che le iniziative volte a promuovere la vaccinazione siano realizzate attraverso gli operatori del Servizio sanitario nazionale, coinvolgendo, auspicabilmente, i medici di medicina generale, a cui è nota la situazione sanitaria degli assistiti, anche riguardo ad aspetti che sconsigliano la vaccinazione in assoluto o temporaneamente. L’Autorità ricorda infatti che, a tutela della riservatezza degli assistiti, le iniziative per promuovere e sollecitare la terza dose di vaccino, non possono avvenire attraverso altri organi o uffici amministrativi regionali o comunali”.
Nessuna violazione della privacy, quindi, per il richiamo per la terza dose di vaccino.
Come anticipato, inoltre, la necessità di contattare i cittadini per la somministrazione della terza dose non può in alcun modo essere equiparata alle chiamate “per qualsiasi pubblicità”.

Queste ultime, infatti, rientrano tra le attività di marketing per le quali l’utente deve aver fornito il proprio consenso e, nell’ipotesi in cui l’attività venga effettuata senza questa indispensabile base giuridica, l’operatore è esposto alle sanzioni previste dal Regolamento europeo (l’art. 83 prevede sanzioni amministrative fino 20 milioni di euro o al 4% del fatturato annuo).

Chissà da dove deriva quel consenso che, ipotizziamo sia un’attività lecita, consente all’operatore di chiamarci “per qualsiasi pubblicità”. Abbiamo letto le condizioni di contratto? Abbiamo letto le privacy policy dei siti che consultiamo? Delle app che utilizziamo? Cosa abbiamo accettato? Lo sappiamo? La risposta è negativa. Non lo sappiamo perché non leggiamo, non ci fermiamo e non prestiamo la dovuta attenzione alla tipologia di dati che forniamo e alle finalità per le quali verranno utilizzati. Salvo poi lamentarci se riceviamo “qualsiasi pubblicità” e invocare la violazione della privacy a giustificazione di comportamenti errati di cui siamo noi i principali artefici.




Vacanze, 3 italiani su 4 in Malghe, frantoi e cantine

Tre italiani su quattro (75%) in vacanza al mare, in montagna o nel verde durante l’estate 2020 hanno scelto di visitare frantoi, malghe, cantine, aziende, agriturismi o mercati degli agricoltori per acquistare prodotti locali a chilometri zero direttamente dai produttori, ottimizzare il rapporto prezzo/qualità e garantirsi una spesa sicura.

E’ quanto emerge da una analisi Coldiretti/Ixè che evidenzia come si tratti di una tendenza favorita dalla crescita del turismo di prossimità con la riscoperta dei piccoli borghi e dei centri minori nelle campagne italiane, in alternativa alle destinazioni turistiche più battute, per evitare pericolosi affollamenti con l’emergenza coronavirus.

 

Si tratta – sottolinea la Coldiretti – di una svolta patriottica importante in un momento in cui la mancanza quasi totale di turisti stranieri ha fatto venir meno una fetta importante della clientela particolarmente sensibile alla qualità e sostenibilità dell’alimentazione. Il cibo quest’anno rappresenta per quasi il 18% degli italiani – continua la Coldiretti – la principale motivazione di scelta del luogo di villeggiatura, mentre per un altro 50% costituisce uno dei criteri su cui basare la propria preferenza. Solo un 7% dichiara di non prenderlo per niente in esame.

 

La ricerca dei prodotti tipici è diventata un ingrediente importante – spiega Coldiretti – delle vacanze in un Paese come l’Italia che è leader mondiale del turismo enogastronomico potendo contare sull’agricoltura più green d’Europa con 305 specialità ad indicazione geografica riconosciute a livello comunitario e 524 vini Dop/Igp, 5155 prodotti tradizionali regionali censiti lungo la Penisola, la leadership nel biologico con oltre 60mila aziende agricole biologiche e la più grande rete mondiale di mercati di agricoltori e fattorie di Campagna Amica, oltre alle numerose iniziative di valorizzazione come le strade del vino o dell’olio.

 

Il cibo – sottolinea la Coldiretti – è diventato la voce principale del budget delle famiglie in vacanza in Italia con circa un terzo della spesa di italiani e stranieri destinato alla tavola per consumare pasti in ristoranti, pizzerie, trattorie o agriturismi, ma anche per cibo di strada o specialità enogastronomiche. Un ruolo importante in tutto ciò è rappresentato dai piccoli borghi dove nasce il 92% delle produzioni tipiche nazionali secondo l’indagine Coldiretti/Symbola, una ricchezza conservata nel tempo dalle imprese agricole con un impegno quotidiano per assicurare la salvaguardia delle colture storiche.

 

L’acquisto di un alimento direttamente dal produttore – sottolinea la Coldiretti – è anche una occasione per conoscere non solo il prodotto, ma anche la storia, la cultura e le tradizione che racchiude dalle parole di chi ha contribuito a conservare un patrimonio che spesso non ha nulla da invidiare alle bellezze artistiche e naturali del territorio nazionale. In molti casi la vendita – precisa la Coldiretti – è accompagnata anche dalla possibilità di assaggi e degustazioni “guidate” che consentono di fare una scelta consapevole difficilmente possibile altrove, ma anche di verificare personalmente i processi produttivi in un ambiente naturale tipico della campagna.

 

In un momento difficile per l’economia e l’occupazione nazionale acquistare prodotto del territorio significa anche aiutare l’economia e l’occupazione locale e per questo la Coldiretti è impegnata nella mobilitazione #MangiaItaliano. L’obiettivo è favorire il consumo di cibo 100% tricolore nei mercati, nei ristoranti, negli agriturismi con il coinvolgimento di numerosi volti noti della televisione, del cinema, dello spettacolo, della musica, del giornalismo, della ricerca e della cultura.




Istat: ancora in aumento la spesa per il welfare locale

Per il quarto anno consecutivo la spesa dei comuni per i servizi sociali è in crescita, raggiungendo i livelli registrati negli anni precedenti la crisi del 2011-2013. 

Nel 2017, la spesa dei Comuni per i servizi sociali, al netto del contributo degli utenti e del Servizio Sanitario Nazionale, ammonta a circa 7 miliardi 234 milioni di euro, corrispondenti allo 0,41% del Pil nazionale (dati provvisori).

La spesa di cui beneficia mediamente un abitante in un anno è pari a 119 euro a livello nazionale, con differenze territoriali molto ampie. La spesa sociale del Sud rimane molto inferiore rispetto al resto dell’Italia: 58 euro contro valori che superano i 115 euro annui in tutte le altre ripartizioni, toccando il massimo nel Nord-est con 172 euro. 

In ulteriore crescita la spesa sociale dei Comuni

Il comparto degli interventi e dei servizi socio-assistenziali, regolato principalmente dalla Legge quadro n.328 del 2000, è fortemente decentrato a livello locale. I Comuni e le associazioni sovracomunali gestiscono la spesa sociale attraverso un ventaglio di prestazioni variabile sul territorio.

Le Regioni hanno in capo funzioni di programmazione, con propri assetti normativi e organizzativi per l’offerta dei servizi socio-assistenziali. A livello centrale restano invece, ancora indeterminati, i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) previsti dalla stessa Legge quadro come standard minimo da garantire su tutto il territorio nazionale.

Rispetto alla media europea, l’Italia destina alla protezione socialei una quota importante del Prodotto interno lordo (il 29,1% contro il 27,9% della media Ue).

Sebbene la quota di spesa per i trasferimenti monetari e soprattutto per le pensioni di anzianità e vecchiaia (poco meno del 16% del Pil) sia elevata, il nostro paese si colloca invece tra quelli con i livelli più bassi di spesa per servizi sociali.

 

Nel 2017, la spesa dei Comuni per i servizi sociali, al netto del contributo degli utenti e del Servizio Sanitario Nazionale, ammonta a circa 7 miliardi 234 milioni di euro, pari allo 0,42% del Pil nazionale.

La spesa è aumentata del 2,5% sul 2016 (circa 177 milioni di euro). In termini pro capite, le risorse destinate alla rete territoriale di interventi e servizi sociali sono passate da 116 a 119 euro per abitante. Prosegue dunque la ripresa iniziata nel 2014, che ha riportato gradualmente la spesa sociale a livelli precedenti al declino registrato nel triennio 2011-2013.

I principali destinatari della spesa sociale dei Comuni per l’anno 2017 sono famiglie e minori, anziani e persone con disabilità che assorbono l’82% delle risorse impegnate. 

La spesa rimanente è dedicata per il 7,4% all’area Povertà e disagio adulti, il 4,8% ai servizi per Immigrati, Rom, Sinti e Caminanti, in minima parte (0,3%) a interventi per le dipendenze da alcol e droga e il rimanente 5,5% alle attività generali e a una multiutenza (sportelli tematici, segretariato sociale, ecc.). 

La spese rivolte ai diversi tipi di utenza hanno fatto registrare tassi d’incremento variabili. 

L’area Famiglie e minori ha avuto una crescita più contenuta (+1,1%) rispetto alla spesa complessiva (+2,5%). Continua ad aumentare la spesa per l’assistenza ai disabili (+4,1%), confermando l’andamento positivo registrato dall’avvio della rilevazione, ovvero dal 2004.

Le risorse destinate agli anziani, che per sei anni consecutivi a partire dal 2011 avevano subito un contenimento, crescono di circa 74 milioni di euro rispetto all’anno precedente (+4,7%).

Diminuiscono invece leggermente nell’ultimo anno (-0,1%) le spese per il contrasto alla povertà e per il disagio adulti, dopo un lieve incremento nel biennio precedente. 

Nell’ambito dei servizi rivolti agli immigrati, le spese restano sotto il 5% della spesa sociale dei Comuni, ma continuano a crescere con valori in linea con l’incremento della spesa totale (+2,7%). 

Più di un terzo della spesa totale per famiglie con figli e minori 

La quota più ampia della spesa sociale dei Comuni è assorbita dai servizi per i minori e le famiglie con figli: circa 2,8 miliardi di euro, pari al 38,2% della spesa complessiva.

Le regioni del Centro sono quelle che destinano maggiori quote di spesa a quest’area di utenza (43%), in particolare l’Umbria (51,1%) e il Lazio (45,2%).

Le risorse per i minori e le famiglie con figli aumentano decisamente in termini pro-capite, passando da 121 euro l’anno del 2010 a 141 nel 2017.

Tuttavia tale incremento è riconducibile in parte alla progressiva diminuzione della popolazione di riferimento, cioè i componenti delle famiglie con minori, mentre la spesa in valore assoluto ha subito un calo nel triennio 2012/2014 e non ha ancora recuperato del tutto il livello del 2010.

Oltre la metà della spesa è destinata alle strutture (53%), in particolare asili nido e altri servizi educativi per la prima infanzia (37%), comunali o privati convenzionati, che accolgono circa il 13,5% dei bambini con meno di 3 anni.

Un’altra importante voce di spesa (il 22%) riguarda le strutture residenziali comunali e le rette pagate dai Comuni per l’ospitalità offerta a bambini, adolescenti e donne con figli in Comunità educative e centri di accoglienza.

Tra gli altri interventi e i servizi rivolti alle famiglie e ai minori, il servizio sociale professionale raggiunge il maggior numero di utenti: 766 mila bambini e nuclei familiari in difficoltà presi in carico dagli assistenti sociali e indirizzati verso specifici percorsi di inclusione e supporto.

Continua a crescere la spesa per i servizi ai disabili 

Dal 2016 al 2017 aumenta ancora la spesa dei Comuni rivolta ai disabili (+4,1%). 

I Comuni italiani nel loro complesso hanno impiegato maggiori risorse per le persone con disabilità: da un miliardo e 23 milioni di euro nel 2003 si passa nel 2017 a circa un miliardo e 871 milioni di euro.

In termini pro capite, la spesa annua per una persona disabile residente in Italia è più che raddoppiata, passando da 1.478 a 3.140 euro; parallelamente aumenta il peso di questa area di utenza sul totale della spesa sociale dei Comuni: dal 19,7% del 2003 si passa al 25,9% del 2017, con punte del 36,7% nelle Isole e in particolare in Sardegna (45,9%).

La attenzione crescente dei Comuni verso i bisogni delle persone con disabilità è testimoniata anche dall’evoluzione delle forme assistenziali e dei sevizi, sempre più orientati a favorire l’autonomia personale e l’inclusione sociale degli utenti presi in carico, l’istruzione e l’inserimento lavorativo.

L’uso delle risorse ha consentito di sviluppare, accanto ai tradizionali strumenti di sostegno ai disabili e alle loro famiglie, quali i centri diurni e le strutture residenziali, un arricchimento della rete territoriale e la diffusione di servizi strategici per garantire alle persone con disabilità i diritti fondamentali, quali l’istruzione e l’inserimento nel mondo del lavoro. 

Dal 2003 al 2017, la spesa per l’assistenza domiciliare ai disabili è aumentata del 137%, quella per gli interventi educativo-assistenziali e per l’inserimento lavorativo del 117%.

All’interno di questo aggregato vi sono il sostegno socio-educativo scolastico, con cui i Comuni garantiscono la presenza nelle strutture scolastiche di figure di supporto ai bambini e ai ragazzi disabili (oltre 74 mila utenti l’anno), il sostegno socio-educativo domiciliare o presso strutture territoriali (circa 18 mila utenti l’anno) e il sostegno all’inserimento lavorativo (tirocini formativi, borse lavoro, bonus all’assunzione, ecc., con circa 29 mila utenti l’anno). 

Lo sviluppo di questi servizi, però, non è stato uniforme sul territorio nazionale. Ad esempio, nel 2017, il 76% dei Comuni del Nord-est offre il sostegno socio educativo scolastico per i bambini e i ragazzi disabili nelle scuole, nelle Isole soltanto il 40% dei Comuni ha attivato questo tipo di assistenza.

Aumenta la spesa sociale rivolta agli anziani

La spesa per i servizi sociali rivolti agli anziani ammonta a circa 1,3 miliardi di euro nel 2017. La quota sulla spesa sociale dei Comuni rappresenta il 17,9% del totale e raggiunge la quota più alta nel Nord-est (23%). 

Dopo una fase di decremento iniziato nel 2011, le risorse destinate agli anziani nel 2017 sono cresciute in un anno del 4,7%. In termini di spesa pro capite si è passati da 92 euro nel 2016 a 95 euro annui, con un aumento più consistente nelle regioni del Centro e del Nord-est, molto contenuto a Sud e una diminuzione nelle Isole e nel Nord-ovest.  

Le principali voci di spesa per l’area anziani riguardano le strutture residenziali, comunali o private convenzionate, che assorbono circa il 41% delle risorse. Risiede nelle strutture comunali o finanziate dai Comuni l’1,4% degli anziani residenti (+0,8% rispetto al 2016).

La seconda voce di spesa per i servizi sociali offerti agli anziani dai Comuni è l’assistenza domiciliare (35,6%) che ha come tipologia prevalente quella socio-assistenziale, e consiste nella cura e igiene della persona e nel supporto nella gestione dell’abitazione. 

In lieve diminuzione le risorse per il contrasto a povertà e disagio adulti

Nel periodo 2010-2017 la spesa dei Comuni per la povertà è diminuita del 5,6% a livello nazionale, sebbene dal 2015 si osservi una lieve ripresa. Le riduzioni di spesa si concentrano principalmente nelle regioni del Centro-sud e in Sicilia (sebbene la ripartizione delle Isole sia controbilanciata dall’aumento di spesa in Sardegna). 

A causa delle limitate risorse disponibili, i sistemi di welfare locali hanno svolto dunque una limitata funzione di compensazione dell’impatto della crisi sulle famiglie.

Quasi la metà della spesa comunale per la povertà e il disagio adulti riguarda i trasferimenti in denaro verso le famiglie: i più importanti sono quelli a integrazione del reddito familiare e i contributi economici per l’alloggio, con importi medi di circa 705 e 949 euro annui per utente, di cui beneficiano circa 147 mila e 48 mila famiglie l’anno rispettivamente. 

Circa un migliaio i Comuni che finanziano i centri antiviolenza 

A partire dalla rilevazione 2017, nell’area povertà, disagio adulti e senza dimora sono censiti due nuovi servizi: i centri antiviolenza, strutture che offrono servizi di ascolto e accoglienza per le donne vittime o esposte alla minaccia di ogni forma di violenza fisica e/o psicologica, e le case rifugio destinate a vittime di violenza di genere, strutture residenziali a indirizzo segreto, che forniscono alloggio sicuro e protezione alle donne che subiscono violenza e ai loro bambini.

Le Case rifugio sono in stretto contatto con i Centri antiviolenza e gli altri servizi presenti sul territorio, al fine di garantire il necessario supporto psicologico, legale, sociale, educativo.

Nel 2017, la spesa dei Comuni destinata ai centri antiviolenza ammonta a circa 4,2 milioni, con una spesa media pari a 495 euro per utente. La spesa media per le donne ospiti delle case rifugio è di 4.945 euro, per un totale di 4 milioni di spesa.

Poco più di mille Comuni, pari al 13,2% del totale, hanno sostenuto una spesa per i centri antiviolenza, mentre sono meno di 300 (3,4%) quelli che offrono l’accoglienza in case rifugio o supportano finanziariamente tali strutture.

In totale, il 14,7% dei Comuni dichiara di aver sostenuto almeno un’attività di ascolto, accoglienza e protezione nei confronti delle vittime di violenza di genere.

regioni italiane ed è particolarmente rilevante in Sicilia. Infatti, negli anni successivi al 2014 sono state impiegate risorse aggiuntive provenienti dal “Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati” (Sprar), che ha permesso ai Comuni e agli altri enti locali di realizzare progetti di accoglienza integrata attraverso i finanziamenti statali e dell’Unione europea. 

Il 46,5% della spesa sociale per quest’area di utenza è destinata alle strutture residenziali, gestite direttamente dai Comuni o affidate in gestione a soggetti esterni, oppure ai trasferimenti erogati per il pagamento delle rette in strutture private, di cui beneficiano circa 48 mila persone (una spesa media di 3.300 euro all’anno per utente).

Forti i divari territoriali della spesa sociale comunale

L’offerta dei servizi socio-assistenziali si caratterizza per un evidente divario fra Nord e Sud del Paese: più della metà della spesa è concentrata al Nord, dove risiede circa il 46% della popolazione, il restante 44% delle risorse è ripartito in misura variabile tra Centro e Mezzogiorno. I Comuni del Sud, dove risiede il 23% della popolazione italiana, erogano l’11% della spesa per i servizi sociali. 

In termini pro capite, la spesa sociale del Sud rimane molto inferiore rispetto al resto dell’Italia: si tratta di 58 euro annui contro valori che superano i 115 in tutte le altre ripartizioni, toccando il massimo nel Nord-est con 172 euro.

Le differenze territoriali sono rilevanti per tutte le aree di utenza, con evidenti disparità a fronte degli stessi bisogni: in media una persona disabile residente al Nord-est usufruisce di servizi e interventi per una spesa annua di circa 5.222 euro, al Sud il valore dei servizi ricevuti è di circa 1.074 euro. 

All’interno di ogni ripartizione geografica i capoluoghi di provincia tendono a distinguersi dal resto dei Comuni per più alti livelli di spesa. I Comuni capoluogo nel loro complesso hanno una spesa media pro-capite di 174 euro l’anno, che si riduce drasticamente (del 45%) per l’insieme dei Comuni italiani non capoluogo (96 euro l’anno).

I differenziali di spesa sono rilevanti in quasi tutte le ripartizioni geografiche, in particolare al Centro e al Sud, dove i Comuni capoluogo spendono più del doppio rispetto al resto dell’area. Nelle Isole si riscontra invece una relativa uniformità di comportamento. 

Agli estremi della distribuzione si trovano dunque, da un lato i Comuni capoluogo del Nord-est, dove la spesa media pro-capite ammonta a 244 euro l’anno; dall’altro, i Comuni dell’hinterland del Sud Italia, con 45 euro l’anno di spesa per i servizi sociali. 

aumentano complessivamente dello 0,7% rispetto al 2016, ma mentre la Sicilia registra una crescita del 3,9%, in Sardegna si ha un calo del 2,5%.

Al Nord-est, la crescita di spesa sociale è dell’1,5% ma le differenze sono forti. Le Province Autonome di Bolzano e Trento, con una crescita di spesa del 15,5% e del 10,4%, rispettivamente, attenuano il calo del Veneto (-6,5%). Nel Nord-ovest, si ha una variazione negativa dell’1,9%. 

Le fonti di finanziamento: più della metà sono risorse dei Comuni 

La principale fonte di finanziamento della spesa sociale degli enti territoriali sono le risorse proprie dei Comuni e delle associazioni di Comuni (63,1%).

Seguono, in ordine di importanza, i fondi regionali (fondi provinciali nel caso di province autonome) vincolati per le politiche sociali, che finanziano il 17,7% della spesa sociale dei Comuni, il fondo indistinto per le politiche sociali (8,3%), i fondi vincolati statali o dell’Unione europea (6,9%), gli altri enti pubblici (2,7%) e i privati (1,3%). 

Sommando le quote relative al fondo indistinto per le politiche sociali e ai fondi statali o europei si deduce che solo il 15,2% della spesa impiegata per i servizi sociali risulta finanziata a livello centrale, mentre la maggior parte delle risorse provengono direttamente dai territori.

Nel corso degli anni, la spesa sociale dei Comuni singoli e associati ha subito variazioni in termini di fonti di finanziamento. In particolare, è diminuito il peso del fondo indistinto per le politiche sociali, dal 14% del 2010 all’8,3% del 2017.

Nelle regioni del Mezzogiorno, la quota finanziata con questo fondo è maggiore rispetto al Centro e al Nord, dove i Comuni basano maggiormente le politiche sociali sulle risorse proprie. Anche la percentuale di risorse derivanti dallo Stato o dall’Unione europea è più alta al Sud e nelle Isole rispetto al resto d’Italia.

Le province di Trento e Bolzano, nella loro autonomia, destinano quote elevate di risorse ai servizi socio-assistenziali.

Nella Provincia di Trento, dove il dato sulle fonti di finanziamento è disponibile, si rileva che l’83,1% dei finanziamenti deriva da fondi provinciali vincolati per le politiche sociali, il 9,9% da risorse proprie dei Comuni, l’l’1,6% da risorse degli enti associativi (Comunità di Valle) e meno del 5% dal fondo indistinto per le politiche sociali o da altri trasferimenti pubblici 




Vola la spesa pubblica, quest’anno “sfonda” quota mille miliardi di euro

Quest’anno la spesa pubblica italiana “sfonda” quota mille miliardi di euro. Per tenere aperti gli uffici, per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, le pensioni e per erogare i servizi di natura pubblica (sanità, sicurezza, scuola, trasporti, etc.), lo Stato spende per gli italiani quasi 3 miliardi di euro al giorno. A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA.

Una cifra gigantesca che, come era prevedibile, è aumentata anche a seguito delle importanti misure messe in campo per il 2021 dai Governi Conte bis e Draghi.

Provvedimenti che si sono resi indispensabili per fronteggiare  gli effetti negativi imposti dalla crisi pandemica. Rispetto al 2020, infatti, quest’anno le uscite complessive dello Stato sono aumentate di oltre 56 miliardi di euro (154,2 milioni al giorno in più rispetto al 2020). Intendiamoci, una spesa pubblica importante, per mitigare gli effetti di una crisi economica e sociale mai vissuta negli ultimi 75 anni, non costituisce un problema, anzi. Nel momento della difficoltà nessuno può essere lasciato indietro e lo Stato ha l’obbligo di mettere in campo tutte le misure necessarie per tutelare soprattutto le fasce sociali più deboli.

  • Quest’anno spendiamo 4 PNRR

I mille miliardi di spesa pubblica che usciranno nel 2021 dalle casse pubbliche sono  un importo di oltre 4 volte superiore a quanto saremo chiamati a spendere nei prossimi 5 anni con i soldi messi a disposizione  dal PNRR che, ricordiamo, ammontano a circa 235 miliardi di euro. Intendiamoci: nessuno mette in discussione l’importanza e l’utilità delle risorse straordinarie che saremo chiamati ad investire nei prossimi anni. Ci mancherebbe.  Tuttavia, vorremmo che il dibattito che si è aperto in questi ultimi mesi sulla necessità di spendere presto e bene queste risorse europee fosse sempre vivo. Una spesa, quella pubblica, che per quasi 900 miliardi è di parte corrente e viene utilizzata, in particolar modo, per liquidare gli stipendi dei dipendenti del pubblico impiego, per consentire i consumi della macchina pubblica e per pagare le prestazioni sociali. L’assalto alla diligenza che abbiamo assistito in questi giorni in Parlamento con la presentazione di migliaia e migliaia di emendamenti alla legge di Bilancio, non lascia presagire nulla di buono. Il pericolo che nel 2022 la spesa pubblica  superi abbondantemente i mille miliardi toccati quest’anno è molto plausibile.

  • Meno tasse solo con tagli strutturali alla spesa

Nei prossimi anni il problema sarà quello di ridurre progressivamente le uscite per consentire al Governo di reperire le risorse necessarie per realizzare, in particolar modo,  una strutturale e significativa riduzione del carico fiscale su famiglie e imprese. Con un  rapporto debito/Pil che si aggira attorno al 154 per cento, questa riforma non potrà essere finanziata in deficit. Anche perché l’UE, molto probabilmente, non ce lo permetterebbe; alla luce del fatto che le disposizioni del Patto di Stabilità, che comunque dovrà essere revisionato, dovrebbero tornare operative dal 2023. Ovviamente, segnalano dalla CGIA, grazie anche alle risorse messe in campo dal PNRR, la crescita dovrà assumere dimensioni importanti. Solo così riusciremo ad aumentare significativamente la platea degli occupati che ci consentirà di spendere meno per sussidi, bonus, contributi a fondo perduto ed integrazioni al reddito. Non solo. Potremmo altresì beneficiare di maggiori entrate fiscali, grazie al versamento di nuova Irpef e di ulteriori contributi previdenziali.

  • Le politiche espansive spingono all’insù l’inflazione

Il forte aumento dell’inflazione registrato in questi ultimi mesi è sicuramente imputabile all’incremento dei prezzi delle materie prime (gas e petrolio in primis) ma, anche, dalle politiche espansive adottate dai singoli stati nazionali e dalla BCE. Tuttavia, sebbene nel biennio 2017-2018 la Banca Centrale Europea fosse arrivata ad acquistare fino a 80 miliardi di euro al mese di titoli di stato pubblici, ora ne acquista circa 15 al mese. Alla fine dello scorso ottobre con il Programma di acquisto dei titoli del Settore Pubblico (PSPP), la BCE  ne ha cumulati 2.603 miliardi, di cui 433 miliardi di titoli italiani (16,7 per cento del totale). In altre parole  è stata realizzata una grandiosa iniezione di liquidità nel sistema economico europeo che non ha precedenti. Alla luce di ciò, è evidente che se le banche centrali vorranno “raffreddare” il caro prezzi, molto probabilmente dovranno ridurre l’iniezione di liquidità immessa in questi ultimi anni. Per un Paese come l’Italia che ha un debito pubblico  gigantesco, questo scenario rischia di peggiorare ulteriormente il nostro quadro finanziario.

  • Tra le uscite spiccano le pensioni: deficit a 167,7 miliardi

Secondo la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2021, la voce di spesa corrente più significativa che registriamo  quest’anno nel nostro Paese è quella pensionistica che ammonta a 287,6 miliardi di euro. Seguono i redditi da lavoro dipendente con 179,4 miliardi,  i consumi intermedi con 161,9 miliardi, le altre prestazioni sociali con 116,3 miliardi e le altre spese correnti con 87,6 miliardi. Includendo anche gli interessi sul debito pubblico (pari a 60,5 miliardi), il totale spese correnti ammonta a 893,4 miliardi, di cui 129,4 per la spesa sanitaria. Se aggiungiamo anche le spese in conto capitale (ovvero gli investimenti), che per l’anno in corso sono pari a 107,3 miliardi, la spesa finale ammonta a 1.000,7 miliardi. Per contro, le entrate totali quest’anno raggiungeranno quota 832,9 miliardi: pertanto l’indebitamento netto si attesta a -167,6 miliardi di euro (-9,4 per cento del Pil).