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Covid, Uecoop: emergenza neet per 2mln di giovani in Italia

Salgono a oltre 2 milioni i giovani fra i 15 e i 29 anni che in Italia non studiano e non lavorano e che sono aumentati nell’anno della pandemia Covid. E’ quanto emerge dall’elaborazione dell’Unione europea delle cooperative (Uecoop) su dati dell’ultimo rapporto Istat sul Benessere dei territori. L’allarme riguarda quasi 1 su 4 (23,3%) che – spiega Uecoop – resta a casa senza fare nulla, sulle spalle di mamma e papà o a carico di qualche altro parente, in una situazione di sostanziale scoraggiamento rispetto a progetti, prospettive e futuro.

Il problema – evidenzia Uecoop – è cresciuto di più al Nord (+2,3%) e al Centro (+1,8%) mentre al Sud si registra un minimo calo (-0,4%) ma su un’incidenza che è pur sempre doppia (32,6% del totale) rispetto al Settentrione. La situazione di incertezza ha pesato sulle opportunità di lavoro e sulla fiducia degli italiani di poterne trovare uno, tanto che molti considerati inattivi ci hanno rinunciato più o meno definitivamente. Fra i motivi della mancata ricerca di un’occupazione si va dal “è tutto fermo” a “nessuno assume a causa Covid”, dal “timore del contagio” all’attesa “che si attenui la pandemia” fino a chi ha rinunciato a dare la caccia a un’occupazione perché ritiene proprio di non avere speranze di trovarlo spiega Uecoop.

La corsa del Pil nel 2021 con la ripartenza da record dell’economia è quindi una svolta strategica per il Paese anche dal punto di vista sociale – conclude Uecoop – con la necessità di ricostruire la fiducia nel futuro e la voglia di mettersi in gioco nello studio e nel lavoro con il mondo delle 80mila cooperative italiane che rappresenta un formidabile bacino di opportunità sia sul fronte dell’occupazione che su quello della formazione.




Boom dell’e-commerce e dei negozi di vicinato, resiste la Gdo

Nel settore alimentare stanno radicalmente cambiando le abitudini d’acquisto dei consumatori, con mutamenti duraturi e irreversibili e ciò ha un forte impatto sulla produzione e la distribuzione alimentare, costringendo le aziende del settore a studiare in profondità i trend di cambiamento.

La grande distribuzione tiene ancora (anche se negli Usa comincia a dare chiari segni di sofferenza), ma crescono moltissimo da un lato un sistema di vendita relativamente nuovo come l’e-commerce che garantisce comodità, precisione e velocità, dall’altro l’antico sistema del negozio di vicinato che garantisce al consumatore di “non perdersi fra gli scaffali” e di vivere un’esperienza d’acquisto di qualità guidata dal venditore specializzato, che conosce i gusti e le abitudini del cliente.

Lo hanno affermato gli esperti intervenuti al primo incontro dell’undicesima edizione della rassegna “Economia sotto l’ombrellone”, in corso di svolgimento a Lignano Sabbiadoro, che si sono confrontati sul tema “La distribuzione alimentare fra locale e globale”: Paolo Ciani di Villa Food, Marco Tam di Greenway Group / Filare Italia e Luca Tonizzo di Venfri.

Stimolati dalle domande del moderatore Carlo Tomaso Parmegiani, responsabile editoriale Nord-Est di Eo Ipso, i tre relatori si sono poi confrontati sia sulle necessità per le aziende alimentari italiane di distribuire all’estero, sia sulla difficoltà a garantire una adeguata distribuzione alimentare nei piccoli borghi, soprattutto montani, a causa della mancanza di negozi.

«Per quanto riguarda la distribuzione all’estero bisogna sfruttare adeguatamente il Made in Italy che nell’alimentare ha un grande appeal -ha detto Tonizzo- e che può consentire alle aziende di produzione di trovare nuovi mercati contrastando la sofferenza che, comunque, si sta vivendo sul mercato interno».

«Nella distribuzione alimentare internazionale -ha confermato Tam- il marchio Made in Italy ha una grande forza, paragonabile a quello Made in Germany sui prodotti della meccanica, e noi dobbiamo assolutamente sfruttarlo, purtroppo, però, siamo carenti di protagonisti della Gdo internazionale di proprietà italiana e ciò ci pone in condizione di svantaggio rispetto, ad esempio, ai francesi che con catene distributive di proprietà danno priorità all’esportazione di prodotti Made in France nel mondo».

«Il food ormai -ha aggiunto Ciani- si è contaminato e oltre alla richiesta di prodotti local c’è una richiesta di prodotti global, si pensi allo zenzero che prima non esisteva e oggi è su tutte le nostre tavole, e questo offre grandi occasioni di distribuzione dei prodotti locali a livello internazionale e sicuramente i prodotti italiani hanno un grande appeal sui mercati esteri in tutto il mondo».

Sui negozi di montagna o dei piccoli borghi Tonizzo ha sottolineato come oggi essi facciano un vero e proprio “servizio sociale” e che le poche speranze di riuscire a tenerli aperti vengano da una crescita del turismo perché difficilmente un negozio riesce a reggere economicamente dove il mercato potenziale è così ristretto a causa del progressivo spopolamento. Al riguardo Tam ha sostenuto che è necessario un intervento legislativo che agevoli fiscalmente o in altri modi quegli “imprenditori coraggiosi” che decidono di tenere aperto un negozio nei piccoli borghi montani o isolati per fare un servizio alla comunità. Da parte sua Ciani, che ha alle spalle una lunga esperienza da amministratore regionale e la cui azienda ha sede in montagna, ha sottolineato di non credere molto nella politica dei sussidi, ma ritenere necessario rendere più vivibile la montagna, creando economia e aziende di eccellenza in quei luoghi, in modo che le persone siano invogliate a stabilirsi nei piccoli borghi, perché se la montagna continua a spopolarsi non ci sarà né contributo, né turismo, in grado di garantire l’esistenza duratura di un’attività commerciale.

I tre esperti hanno, poi, sottolineato come i grandi cambiamenti in atto nella distribuzione dipendono anche dalla sempre maggior attenzione del consumatore alla sostenibilità dei prodotti, alla loro qualità e agli aspetti salutistici della nutrizione.

«Le persone sicuramente -ha affermato Tam- desiderano prodotti sempre di maggior qualità, socialmente ed ecologicamente sostenibili, ma spesso non si rendono conto che tutto ciò ha un come contropartita un costo maggiore dei prodotti stessi e cercano, al contempo, prodotti sempre meno costosi. Negli anni, comunque, la richiesta di prodotti alimentari più sani e sostenibili continuerà a crescere».

«Oggi -ha confermato Tonizzo- l’etichetta è molto importante e tutta la filiera è responsabile del fatto che essa sia corretta e riporti tutte le informazioni richieste dai consumatori rispetto alla sostenibilità, alla salubrità, al benessere animale, alla tutela dei lavoratori, ecc.».

«C’è sicuramente un’evoluzione in corso -ha sottolineato Ciani- con un cambiamento di sensibilità del consumatore che è particolarmente spiccato nei più giovani. Oggi i ragazzi di 25/30 anni sono molto più attenti rispetto ai loro genitori e nonni. Ci sono prodotti che stanno sparendo da loro consumo, come ad esempio le carni di cavallo o di capretto, e altri molto richiesti e difficili da trovare come il pesce bio. Il trend principale per i prodotti del futuro è quello di avere la cosiddetta “etichetta bianca” ossia un’etichetta più pulita possibile senza conservanti, additivi e coloranti e che sia più “naturale” possibile. Senza dimenticare, però, ciò comporterà un aumento dei costi per i produttori e per i consumatori».

In conclusione, tutti e tre gli ospiti di “Economia sotto l’ombrellone” hanno concordato sull’aiuto che le nuove tecnologie possono dare per rendere sempre più naturali, sostenibili e salubri i prodotti che arrivano in casa. Ci sono, infatti, sistemi, come quelli adottati da Villa Food, di cottura a bassa temperatura e di conservazione ad alta pressione, che permettono di conservare a lungo le qualità dei prodotti senza additivi e conservanti, così come ci sono sistemi tecnologici di irrigazione e analisi con controllo a distanza delle coltivazioni, come quelli adottati da Filare Italia, per ridurre grandemente i consumi di acqua e fertilizzanti. Ci sono, poi, come ricordato dal titolare di Venfri, nuove tecnologie che permettono di automatizzare e controllare i magazzini delle aziende distributrici consentendo una migliore distribuzione dei prodotti deperibili, o di realizzare confezioni più sostenibili e leggere per ridurre l’inquinamento connesso alla distribuzione.

 

 

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L’undicesima edizione di Economia sotto l’Ombrellone è organizzata da Eo Ipso – comunicazione ed eventi con il patrocinio del Comune di Lignano Sabbiadoro e Turismo FVG. Co-main supporter: Greenway Group e Fidev Consulting; sponsor: Lignano Banda Larga, Villa Food, Venfri, Is Copy, Glp, Gabetti, Confidi Friuli, Karmasec e Calvin; sponsor tecnici: Filare Italia, Pineta Beach, Lignano Pineta Spa, Porto Turistico Marina Uno e Hotel Ristorante President. Media partner: Scriptorium Web-Tv.

 

I PROSSIMI INCONTRI

Ore 18.30, Chiosco numero 5 (Bandiera Svizzera), Lungomare Alberto Kechler 16, località Lignano Pineta a Lignano Sabbiadoro (UD)

 

Mercoledì 25 agosto

L’investimento immobiliare attraverso finanza e tecnologia

Mario Fumei – Wealth Advisor

Silvia Pasut – Gabetti Immobiliare

Pamela Campoblanco – Fidev Consulting

 

Mercoledì 1° settembre

Il futuro del turismo sulle due sponde del Tagliamento

Giorgio Ardito – Lignano Pineta Spa

Giuliana Basso – Consorzio Turistico Bibione Live

Alberto Granzotto – Faita Federcamping

Marco Zuin – Lignano Banda Larga




Monnezza 2.0, la gestione dei rifiuti in chiave digitale

Era il 1987 e Aldo Fabrizi,visibilmente commosso da quella commozione che soltanto le emozioni ingenue di un anziano vicino alla fine del viaggio può esprimere, fece un’ultima apparizione in televisione, recitando un sonetto ispirato alla celebre canzone “Buongiorno tristezza”, cantata da Claudio Villa. Il sonetto s’intitolava “Buongiorno monnezza” ed era una triste ode alla situazione imbarazzante della Capitale.

Bongiorno monnezza,
è l’alba e te ritrovo nella via,
è inutile ch’ aspetti,
‘n ce sta nissuno che te porta via.
Nell’aria che olezza
i variopinti montarozzi tuoi
ovunque tu sei
raggiungono l’altezza di un tramvai
vagano
a centinaia i gatti intorno a te…
chiedono
i forestieri, al vigile: “Scusi, che monumento è?”
Ma è tutta monnezza, è un’aria di folclore e di poesia
induce il turista a rimontà sul treno e scappà via

Da quel lontano giorno, sono passati più di 30 anni, il mondo è cambiato grazie alla digitalizzazione, ma la gestione dei rifiuti è rimasta tale e quale e “Buongiorno monnezza” è quanto di più attuale ci possa essere: un’ode efficace all’incapacità dei dirigenti e degli operatori che lavorano nelle aziende in cui viene gestito il ciclo deidei rifiuti. Tutto sommato, la differenza tra la gestione dei dati e la gestione dei rifiuti non è poi tanto diversa: può sembrare paradossale, ma entrambi, seppur per aspetti diversi, hanno un valore enorme e creano ricchezza. Il nuovo petrolio, direbbero i giornalisti del qualunquismo un tanto al chilo. I dati hanno un ciclo di vita che inizia dalla raccolta e termina nella produzione di conoscenza. Per i rifiuti vale lo stesso ragionamento: il loro ciclo di vita inizia dalla raccolta e termina nella produzione di nuovi prodotti, o materiali, attraverso il riciclo.

E il ciclo può terminare solo nel riciclo perché, c’è voluto del tempo per capirlo, le risorse di questo pianeta non sono infinite. Se per i dati, molto faticosamente, si tentano goffi tentativi di industrializzazione del ciclo produttivo, per i rifiuti, in molte città italiane, il problema è rimasto inchiodato alla raccolta e ai variopinti “montarozzi” di sacchi colorati, depositati fuori dai cassoni. Alcuni giorni fa, è apparsa sui giornali locali una notizia confortante: l’AMA, l’azienda municipalizzata che gestisce i rifiuti a Roma, ha pianificato la sostituzione totale dei vecchi cassonetti adibiti alla raccolta dell’immondizia.

Finalmente, ho pensato, e la mia mente ingenua, che soffre di visioni digitali, è andata subito ai contenitori smart o smart bin: connessi a internet, collegati a un sistema informativo a cui trasmettere i dati, autoalimentati dai pannelli solari, geolocalizzati, muniti di videocamere e sensori attraverso i quali misurare il peso, il volume, l’umidità, la temperatura e la quantità di rifiuti raccolti. Ho visto cittadini che, attraverso un’app a cui si accede tramite SPID, invece di fare le contorsioni per aprire dei coperchi mal progettati, ne comandavano l’apertura elettrica grazie a un motore alimentato da un accumulatore posizionato sul fondo del cassone e ricaricato dall’energia solare.

Ho visto sistemi informativi e di monitoraggio attraverso cui analizzare i dati e gestire una raccolta intelligente sulla base dell’effettivo stato di riempimento dei cassoni, ho visto notifiche e alert, tracciati dinamici e aggiornati in tempo reale da fornire agli operatori al posto dei giri approssimativi programmati dal capo squadra. Ho visto dashboard interattive attraverso cui modulare le tasse in base alla reale produzione dei rifiuti prodotti dai cittadini e dalle aziende e – ma quest’ultimo punto mi rendo conto che è abbastanza utopico- un sistema di tracciamento attraverso il quale capire in cosa (e da chi) vengono trasformati gli imballaggi e gli scarti, per misurare il valore dell’immondizia e l’efficienza dei sistemi di gestione e di raccolta attraverso degli indicatori prodotti dai dati raccolti.

Ho visto sistemi di intelligenza artificiale che identificano il tipo di rifiuto e registrano l’utilizzo improprio dei contenitori, sanzionando automaticamente gli “zozzoni” di turno. Ho visto sistemi di controllo pubblici delle aziende municipalizzate attraverso i quali far emergere le incapacità e le inefficienze dei dirigenti e dei dipendenti, e progetti di impianti di raccolta e trattamento dimensionati adeguatamente sulla base della produzione complessiva della spazzatura. In poche parole, ho visto come l’IOT (Internet Of Things) possa essere davvero utile per migliorare la vita nelle città in cui viviamo. Tutto ciò, in altre parti del mondo già esiste.

Dopo aver letto il titolo, le visioni digitali si sono ridotte a una triste presa di coscienza: il sonetto di Aldo Fabrizi rimarrà attuale per molti anni ancora. I nuovi contenitori, rispetto ai vecchi, di diverso avranno solamente il colore. Saranno colorati in base al tipo di rifiuto che dovranno ospitare. Una colorazione più efficace, per facilitare la raccolta differenziata. Naif. In linea con le direttive europee.

Tutto qua. Come se i romani fossero talmente deficienti, dopo oltre 15 anni di utilizzo, da non aver capito qual è il contenitore adatto a un certo tipo di rifiuto. I cittadini si lasciano andare al degrado se vengono costretti a vivere in un ambiente degradato. La storia, soprattutto quella della civiltà greca, dovrebbe aver insegnato cosa significhi coltivare la bellezza. I rifiuti abbandonati favoriscono l’inciviltà e l’abbandono di altri rifiuti. È vero, c’è una piccola parte di cittadini incivili che abbandona i rifiuti ingombranti davanti ai cassonetti: per questo le videocamere e un sistema efficiente di sanzioni sarebbero fondamentali.

Eppure, sui nuovi cassonetti non ci sarà nemmeno la vecchia tessera con la banda magnetica, ormai usata da più di vent’anni in alcuni comuni, per identificare e accertare il numero di utenti che utilizzano un certo contenitore della spazzatura e programmare una raccolta più organizzata. Un po’ di dati, sull’immondizia, servirebbero, quantomeno per non trovarsi sistematicamente nelle situazioni documentata tristemente ogni giorno dai cittadini.

 

C’è da dire che questa situazione a dir poco nauseabonda non è confinata soltanto alla Capitale, che ha un’estensione territoriale pari alla somma delle superficie di tutte le città metropolitane (con tutte le difficoltà gestionali che ne conseguono), ma si verifica in maniera ricorrente in molti altri centri urbani di grandi dimensioni. Però, seppur su una scala diversa, in termini di utenza, estensione territoriale e quantità di rifiuti prodotti, a Milano la situazione




Coronavirus, Fondazione Gimbe: risalgono i contagi, ma ancora nessun impatto su ospedali

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 30 giugno-6 luglio 2021, rispetto alla precedente, un incremento di nuovi casi (5.571 vs 5.306) (figura 1); in calo invece i decessi (162 vs 220) (figura 2), i casi attualmente positivi (42.579 vs 52.824), le persone in isolamento domiciliare (41.121 vs 50.878), i ricoveri con sintomi (1.271 vs 1.676) e le terapie intensive (187 vs 270) (figura 3). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 162 (-26,4%)
  • Terapia intensiva: -83 (-30,7%)
  • Ricoverati con sintomi: -405 (-24,2%)
  • Isolamento domiciliare: -9.757 (-19,2%)
  • Nuovi casi: 5.571 (+5%)
  • Casi attualmente positivi: -10.245 (-19,4%)

«Sul fronte dei nuovi casi settimanali – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dopo 15 settimane consecutive di discesa si rileva un incremento del 5% rispetto alla settimana precedente.  Anche l’attività di testing, dopo 7 settimane di calo, registra un aumento del 15,5%, continuando tuttavia ad attestarsi su numeri troppo bassi, con conseguente sottostima dei nuovi casi e insufficiente tracciamento dei contatti». Dalla settimana 5-11 maggio il numero di persone testate settimanalmente si è progressivamente ridotto del 60,3%, passando da 662.549 a 263.213, per poi risalire questa settimana a 303.969 (figura 4). In 11 Regioni si registra un’inversione di tendenza con un incremento percentuale dei nuovi casi rispetto alla settimana precedente, mentre le restanti 10 Regioni si confermano in calo (tabella). I decessi, dopo l’apparente stabilizzazione della scorsa settimana verosimilmente imputabile a ricalcoli, hanno ripreso a scendere attestandosi nell’ultima settimana a 162 con una media di 23 al giorno rispetto ai 31 della settimana precedente.

«Il trend dei pazienti ospedalizzati – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – prosegue la sua discesa sia in area medica che in terapia intensiva, dove l’occupazione di posti letto da parte dei pazienti COVID si attesta al 2%. Tutte le Regioni registrano valori inferiori al 10% e sono 8 le Regioni che non contano pazienti COVID ricoverati in area critica». In dettaglio, dal picco del 6 aprile i posti letto occupati in area medica sono scesi da 29.337 a 1.271 (-95,7%) e quelli in terapia intensiva da 3.743 a 187 (-95%). Le persone in isolamento domiciliare, dal picco del 28 marzo, sono passate da 540.855 a 41.121 (-94,2%). «Gli ingressi giornalieri in terapia intensiva – spiega Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – sono in calo da oltre 3 mesi e la media mobile a 7 giorni è di 5 ingressi/die» (figura 5).

Vaccini: forniture. Al 7 luglio (aggiornamento ore 6.12) sono state consegnate 60.989.653 dosi, pari all’80% di quelle previste per il 1° semestre 2021 (figura 6). In dettaglio:

Dosi di vaccini 1° semestre 2021
Vaccino Dosi previste Dosi consegnate
(% su dosi previste)
Dosi somministrate
(% su dosi consegnate)
Pfizer/BioNTech 41.463.630 41.019.070 (98,9%) 38.923.688 (94,9%)
Moderna 5.980.000 5.940.681 (99,3%) 5.339.711 (89,9%)
AstraZeneca 14.158.500 11.775.295 (83,2%) 9.409.833 (79,9%)
Johnson & Johnson 7.307.292 2.254.607 (30,9%) 1.254.600 (55,6%)
CureVac 7.314.904  (0,0%)  (0,0%)
TOTALE 76.224.326 60.989.653 (80%) 54.927.832 (90,1%)
Elaborazione GIMBE su dati Ministero Salute, Commissario Straordinario COVID-19
Aggiornamento: 7 luglio 2021 ore 06:12

«Rispetto alle forniture stimate nel Piano vaccinale – spiega il Presidente – nel secondo trimestre sono state consegnate 15.234.673 dosi in meno rispetto al previsto, sia per la mancata autorizzazione di CureVac (48% delle dosi mancanti), sia per le consegne inferiori all’atteso da parte di AstraZeneca (-2.383.205 dosi, 15,6% del totale) e Johnson & Johnson (-5.052.685 dosi, 33,2% del totale)». Per il terzo trimestre, invece, disponiamo “sulla carta” di 45.496.439 dosi di vaccini a mRna (48,3%), 41.950.684 dosi di vaccini a vettore adenovirale (44,5%), oltre a 6.640.000 dosi del vaccino di CureVac che, non avendo superato con successo i test clinici, dovrebbero essere eliminate nel prossimo aggiornamento del piano delle forniture, attualmente fermo al 23 aprile 2021 (figura 7).

Vaccini: somministrazioni. Al 7 luglio (aggiornamento ore 6.12), il 59,6% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino (n. 35.323.440) e il 36,4% ha completato il ciclo vaccinale (n. 21.593.307) (figura 8). Nell’ultima settimana si è registrata una nuova flessione delle somministrazioni che scendono del 4,1% (n. 3.734.039) (figura 9), con una media mobile a 7 giorni di 524.202 inoculazioni/die (figura 10). Un rallentamento imputabile all’incertezza relativa alle dosi in arrivo, oltre che alla diffidenza sempre maggiore nei confronti dei vaccini AstraZeneca e Johnson & Johnson. Rimangono tuttavia oltre 6 milioni di dosi già consegnate alle Regioni in attesa di essere inoculate: 2.095.382 di Pfizer/BioNTech, 600.970 di Moderna, 2.365.462 di AstraZeneca, 1.000.007 di Johnson & Johnson. «Va inoltre rilevato come la percentuale di prime dosi sul totale delle dosi somministrate – spiega Mosti – sia in riduzione da 3 settimane consecutive con un valore che dal 74% della settimana 7-13 giugno è sceso al 38% della settimana 28 giugno-4 luglio, con un calo del 49% in 3 settimane» (figura 11).

Vaccini: copertura degli over 60. L’87,2% ha ricevuto almeno una dose di vaccino, con alcune differenze regionali: se Puglia, Umbria e Lazio hanno superato il 90%, la Sicilia è ferma al 77,4%. In dettaglio:

  • Over 80: degli oltre 4,4 milioni, 4.042.314 (90,2%) hanno completato il ciclo vaccinale e 171.852 (3,8%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 12).
  • Fascia 70-79 anni: degli oltre 5,9 milioni, 4.006.932 (67,2%) hanno completato il ciclo vaccinale e 1.246.957 (20,9%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 13).
  • Fascia 60-69 anni: degli oltre 7,3 milioni, 4.084.858 (54,9%) hanno completato il ciclo vaccinale e 2.043.083 (27,5%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 14).

Variante delta. L’ultima indagine flash dell’Istituto Superiore di Sanità stima al 22,7% la prevalenza della variante delta con notevoli differenze regionali (range 0-70,6%). «I dati provenienti dall’Inghilterra e quelli, seppur preliminari, di Israele – puntualizza Gili – confermano l’elevata efficacia del ciclo vaccinale completo nel prevenire le forme severe di COVID-19, le ospedalizzazioni e i decessi. Tuttavia nel nostro Paese il tallone d’Achille della campagna vaccinale è attualmente rappresentato dagli oltre 5,75 milioni di over 60 a rischio di malattia grave privi di adeguata copertura contro la variante delta» (figura 15). In dettaglio, 2,29 milioni (12,8%) non hanno ancora ricevuto nemmeno una dose di vaccino con rilevanti differenze regionali (dal 22,6% della Sicilia al 7,7% della Puglia) (figura 16) e oltre 3,46 milioni (19,4%) devono completare il ciclo dopo la prima dose: 2.495.962 con AstraZeneca, 837.052 con Pfizer-BioNTech, 128.878 con Moderna. Peraltro, il trend di somministrazione delle prime dosi per fasce di età conferma ormai l’appiattimento delle curve degli over 80 e delle fasce 70-79 e 60-69 e registra una flessione da oltre 4 settimane per la fascia 50-59 anni e da circa 2 settimane per la fascia 40-49 (figura 17), seppure con notevoli differenze nelle percentuali di copertura tra le varie classi anagrafiche (figura 18).

Criticità campagna vaccinale. A poco più di 6 mesi dall’inizio della campagna vaccinale la Fondazione GIMBE rileva le seguenti criticità:

  • Disponibilità di dosi
    • Il numero di dosi consegnate è nettamente inferiore all’atteso: -14.266.090 (-50,5%) nel 1° trimestre e -15.234.673 (-20%) nel 2° trimestre.
    • Le consegne delle aziende produttrici, fatta eccezione per Pfizer/BioNTech, sono state discontinue per tempistiche e quantità, rendendo più difficile la programmazione regionale.
    • Nonostante una consistente disponibilità residua (oltre 3,36 milioni di dosi al 7 luglio 2021), i vaccini a vettore adenovirale non riescono ad essere adeguatamente impiegati sia per le modifiche alle indicazioni d’uso per fasce d’età sia per la crescente diffidenza della popolazione, rendendo la campagna sempre più dipendente dai vaccini a mRNA.
  • Rallentamento nella somministrazione delle prime dosi
    • L’accelerazione impressa alla campagna vaccinale a partire dal mese di aprile determina in questo momento la necessità di somministrare un elevato numero di richiami, riducendo nel breve termine la possibilità di effettuare prime dosi negli under 50, vista anche l’incertezza sulle forniture dei prossimi mesi che induce ad accantonare consistenti quantitativi per la somministrazione delle seconde dosi.
    • Negli over 50, soprattutto nella fascia 50-59 e 60-69, è evidente l’esitazione vaccinale, in particolare per i vaccini a vettore adenovirale, frutto di fake news e di una comunicazione istituzionale incapace di trasmettere il profilo rischio-beneficio della vaccinazione che può variare in relazione al contesto epidemiologico. Inoltre, nonostante i proclami, una vera strategia di chiamata attiva non è mai decollata a livello nazionale.

«L’incremento dei casi conseguente alla diffusione della variante delta – conclude Cartabellotta – destinato a continuare nelle prossime settimane non deve generare allarmismi. Certo il dato preoccupa per il suo potenziale impatto sugli ospedali che sarà inversamente proporzionale alla copertura vaccinale completa degli over 60. Ecco perché, oltre a potenziare contact tracing e sequenziamento, occorre sia mettere in campo strategie di chiamata attiva per gli over 60 che non si sono ancora prenotati, sia accelerare la somministrazione delle seconde dosi. Infine, siamo tutti chiamati a contribuire attivamente a rallentare la diffusione della variante delta mantenendo comportamenti responsabili ed evitando gli errori della scorsa estate».

 




Gestore, fornitore e distributore di energia: tutte le differenze 

All’interno del mercato energetico operano tre diversi soggetti, ovvero il gestore, il fornitore e il distributore di energia. Vediamo nei dettagli tutte le caratteristiche dei ruoli, qual’è la differenza tra gestore, fornitore e distributore e a chi rivolgerci per le specifiche esigenze della nostra utenza.

H2 Quali le differenze tra gestore, distributore e fornitore di energia
Nel mercato dell’energia sono tre i soggetti protagonisti: il gestore, il distributore ed il fornitore. Ognuno di essi ricopre un ruolo ben preciso e tutti e tre svolgono un compito fondamentale per la corretta erogazione delle utenze luce e gas verso i clienti domestici. Andiamo ad analizzare quindi nel dettaglio le differenze tra fornitore, gestore e distributore, e capiamo meglio i ruoli di ogni soggetto all’interno della filiera energetica.

I gestori dell’energia elettrica si occupano di garantire il trasporto dell’energia attraverso i cavi a bassa, media o alta tensione, posizionati sul territorio nazionale. Tra i compiti principale delle società di gestione dell’energia elettrica risulta esserci il dispacciamento, ovvero il monitoraggio e la gestione dei flussi di energia, che i gestori luce modulano a seconda delle necessità.

Il distributore è colui che viene incaricato di supervisionare la gestione della rete e dei contatori, oltre che del trasporto locale di energia, tutto questo dopo aver preso in carico l’energia stessa dal gestore nei punti di consegna. Oltre a questa attività il distributore si occupa di contabilizzazione e lettura dei consumi per conto dei fornitori  e si incaricano di eventuali lavori di riparazione dei guasti agli impianti di distribuzione locale. Pertanto è compito del distributore, effettuare la lettura dei consumi che verrà poi trasmessa al fornitore per calcolarne l’importo dovuto, oltre che di tutte le operazioni tecniche come l’attivazione del contatore, la verifica dell’impianto gas o l’aumento di potenza del contatore. Qualora un cliente domestico debba eseguire un primo allaccio delle utenze luce e gas, una voltura o un subentro, oppure necessiti di una riparazione al contatore, dovrà rivolgersi necessariamente al distributore.

Il fornitore, o società di vendita, è colui che si occupa della vendita al dettaglio dell’energia al cliente finale, acquistando l’energia dalla borsa elettrica o direttamente dai produttori e gestendo gli aspetti commerciali ed amministrativi legati alla fornitura di energia. Quando si attiva una nuova utenza luce, o si deve eseguire una voltura o un subentro, occorrerà dunque inviare una richiesta al fornitore. A partire da gennaio 2003 per il gas e da luglio 2007 per l’energia elettrica, come previsto dalla normativa comunitaria, tutti i clienti italiani possono scegliere liberamente il proprio fornitore e sottoscrivere la propria utenza di luce e gas, scegliendo tra mercato libero o tutelato.

H3 Differenza tra mercato libero e mercato tutelato
Il mercato tutelato dell’energia è un regime tariffario stabilito dall’ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) il quale sancisce definitivamente il costo dell’energia, stabilendo pertanto i prezzi di luce e gas e variandoli ogni 3 mesi secondo le oscillazioni del mercato. Al contrario, nel mercato libero, i prezzi dell’energia vengono definiti dai fornitori, che definiscono le offerte nell’ambito della libera concorrenza. Con la liberalizzazione del mercato, prevista inizialmente per il 2022, poi slittata a gennaio 2023, sono i singoli consumatori che scelgono a quale fornitore appoggiarsi, decidendo loro stessi le tariffe luce e gas più convenienti in base alle proprie esigenze di consumo. Il costo della materia prima rimane l’unica variabile che un consumatore deve considerare, questo perché tutte le altre componenti che vanno a sommarsi nel costo della bolletta (spese di trasporto, oneri di sistema, tassazione) rimangono invariate per ogni fornitore, a prescindere del mercato di appartenenza, in quanto stabilite a priori da ARERA.

H4 Tutti i vantaggi del mercato libero
Il passaggio al mercato libero dell’energia, il quale non prevede alcun tipo di costo, né sospensione dell’utenza o interventi di natura tecnica sul contatore, garantisce diversi vantaggi, tra cui:

Prezzi e offerte più convenienti: in un mercato dove vige la libera concorrenza ogni fornitore ha tutto l’interesse a offrire il prezzo luce e gas più conveniente, personalizzando le tariffe in base alle esigenze del singolo consumatore. Inoltre le offerte luce e gas del mercato libero possono includere servizi  aggiuntivi, come sconti, punti fedeltà e offerte di energia verde.

Bollette dagli importi più regolari: nel regime tutelato le tariffe di luce e gas variano ogni tre mesi in base all’oscillazione dei prezzi di mercato, rendendo più difficile prevedere il costo finale della bolletta. Nel mercato libero invece le tariffe sono a prezzo bloccato per un periodo di tempo definito, permettendo ai consumatori di calcolare con maggiore sicurezza il costo finale delle utenze.

Stesso fornitore luce e gas: Nel mercato libero dell’energia è possibile scegliere lo stesso fornitore per luce e gas, cosa invece non possibile nel mercato tutelato. Avere lo stesso fornitore per entrambe le utenze rende molto più semplice il pagamento della bolletta e permette di accedere a offerte speciali per chi sceglie di attivare luce e gas con lo stesso fornitore.

Nel mercato delle telecomunicazioni i fornitori non sono altro che gli operatori telefonici. Essi forniscono servizi di interconnessione tra i cittadini come la copertura di rete o la rete Wi-fi, attraverso le migliori offerte internet presenti sul mercato. Le diverse offerte di telefonia mobile sono proposte dagli operatori proprio come le offerte luce e gas vengono “distribuite” ai cittadini dai vari fornitori di energia.




Torna lo sviluppo foto nei supermecati

In Italia operano circa 43 milioni di smartphone. E’ stato calcolato che ogni smartphone scatta almeno 185 fotografie l’anno, scaricando nelle gallerie dei telefonini circa 8 miliardi di foto.
Quante di queste vengono sviluppate? E’ vero che parte di queste fotografie sono utilizzate, specie dai giovani, sui vari canali social, ma quanti consumatori stamperebbero parte dei loro scatti se avessero a disposizione, vicino casa, macchine automatiche di sviluppo immediato delle foto?

Il progetto di Cewe Italia è quello di diffondere i corner foto nei supermercati e nei drugstore, dove si va a fare la spesa alimentare, proprio come si usava ai tempi della fotografia analogica, quando si portavano i rullini al super. I risultati dei primi passi, un centinaio di corner di sviluppo foto nei punti vendita della Coop, di DM Drogherie, di Crai, di Migross (Gruppo Végé), sono positivi e si prevede una rapida espansione di questo servizio.

Il mercato dello sviluppo fotografico in Italia non è adeguato alle sue potenzialità, tanto più che si registra tra gli italiani un ritorno ai valori dei ricordi e della condivisione. E’ un mercato segnato da una crisi costante dei tradizionali negozi di fotografia e dall’emergere dello sviluppo on line.

I negozi dei fotografi sono 6.500, ma il loro fatturato è calato del 40% dal 2017 ad oggi, nonostante i fotografi abbiano diversificato la loro attività (matrimoni, video, fotografia commerciale). E l’emergenza pandemica ha colpito duramente questo comparto, tanto che si stima possano chiudere circa il 30% di questi negozi a fine 2022.

Lo sviluppo delle foto on line sta crescendo, specie tra i consumatori giovani (si ordina la stampa via web e poi le foto arrivano a casa con una normale spedizione postale), con una significativa espansione dal 2015 in avanti: oggi valgono il 70% dell’intero mercato (con PhotoSi e Cheerz leader di mercato). Il resto del mercato si divide tra i negozi dei fotografi e le stampanti ad hoc per la casa o l’ufficio.

I corner per la stampa immediata delle foto hanno, tuttavia, il vantaggio di saltare un passaggio, quello della consegna delle foto sviluppate, e quindi di poter proporre un prezzo concorrenziale. Consentono di sviluppare istantaneamente le foto (anche sotto forma di biglietti di auguri, cartoline e altro) servendosi del solo smartphone: nella postazione si troveranno già i cavetti per ogni tipo di cellulare, oppure si può optare per il collegamento bluetooth, non servono chiavette Usb, si paga in cassa.

Trovando il corner di sviluppo foto in ogni supermercato, i consumatori potrebbero facilmente scegliere di sviluppare alcune foto prima o dopo la spesa. Una scommessa, quella di Cewe, già vinta in Europa dove dispone già da tempo di 20mila corner foto nei punti vendita dei maggiori retailer.



Il Recovery Plan di Draghi ha un “gusto di futuro” per gli italiani

Èstato finalmente presentato anche alle Camere il nuovo PNRR del governo Draghi e entro il prossimo 30 aprile sarà inviato formalmente a Bruxelles. Dopo un duro lavoro, in tempi peraltro strettissimi, c’è stata la quadra anche attorno alla strategia, alla nuova narrativa ed alle modalità di implementazione (Obiettivi, milestone, target, etc.).

 

E’ un piano di investimenti ambizioso quello che l’Italia si appresta ad inviare in Europa. Ma non solo. Parallele viaggiano numerose riforme, senza le quali, gli investimenti rischiano di non portare frutti nel medio lungo periodo. Si tratta di uno strumento che mette in campo risorse finanziarie ingenti finalizzate ad accelerare la ripresa economica, rispondendo in modo, speriamo efficace, alla crisi pandemica provocata dal Covid-19.

Il PNRR italiano si inserisce all’interno del programma Next Generation EU (NGEU), che prevede per tutti i Paesi un totale di 750 miliardi di euro.

All’Italia spettano 191,5 miliardi di euro, finanziati attraverso lo strumento chiave del NGEU: il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza.
A questi si aggiungono ulteriori 30,6 miliardi che sono parte di un Fondo complementare, finanziato attraverso lo scostamento pluriennale di bilancio che è stato approvato nel Consiglio dei ministri del 15 aprile scorso.
Pertanto abbiamo a disposizione  222,1 miliardi di euro.

Mai abbiamo avuto la disponibilità di così tante risorse finanziarie da spendere in un tempo così ristretto (2021-2026) e con modalità di “messa a terra” (attuazione) che devono seguire precise indicazioni che noi stessi, come Paese, abbiamo scritto “nero su bianco” e consegnato all’Europa nella fase di progettazione e interlocuzione. Infatti, se da un lato il piano complessivo offre una visione di sintesi, strategica e narrativa del cosa si vuole fare, del “come” e del “quando” (i tempi di massima di realizzazione degli interventi), occorre anche considerare che il “back office del piano” prevede azioni di dettaglio di ogni singola fase e per ogni singolo progetto, sia esso di investimento o di riforma, con una scansione davvero rigorosa dei tempi e molto severa relativamente ai “deliverable” (prodotti) che devono essere raggiunti.

Quindi, non si può non concordare con Draghi quando dice che bisogna avere “il gusto del futuro” parlando del PNRR. Sono parole queste che hanno un significato intenso, che mirano a scuotere l’intero Paese: da un lato le pubbliche amministrazioni e i dipendenti pubblici che dovranno “abilitare” e mettere in campo le azioni previste dal Piano, dall’altro il tessuto imprenditoriale, che in molti casi e su diverse linee di azione, dovrà assicurare la realizzazione di progetti, molti dei quali ad elevata complessità. In questo senso, “il gusto di futuro” è quasi un voler far riflettere ciascuno di noi a riscoprire quel senso di appartenenza al nostro Paese, che va ben oltre le ideologie politiche e che mira a unire, più che dividere, rafforzando quel concetto di coesione sociale e favorendo quei progetti con impatto a carattere “strutturale”, che possano essere moltiplicatori di valore economico nel tempo, anche adottando paradigmi diversi di partnership rafforzate pubblico-privato, riducendo, al contempo, la corruzione e tutti i suoi effetti negativi su crescita, innovazione, qualità e competenze.

Proprio perché il piano vuole avere un “carattere strutturale”, esso include un numero consistente di riforme, certamente quasi scontate per gli addetti ai lavori, ma che rappresentano invece il bisogno di realizzare solide fondamenta su cui far poggiare tutti gli investimenti.

Si tratta di riforme da adottare negli ambiti della:

pubblica amministrazione (favorire il ricambio generazionale, valorizzare il capitale umano e professionale , attuare la digitalizzazione, realizzare la piattaforma unica di reclutamento, erogare corsi di formazione per il personale e rafforzare e monitorare la capacità amministrativa);
giustizia (ridurre la durata dei processi ed il peso degli arretrati giudiziari, rivedere il quadro normativo e procedurale aumentando il ricorso a procedure di mediazione e interventi di semplificazione sui diversi gradi del processo);
semplificazione normativa (semplificare la concessione di permessi e autorizzazioni, garantire attuazione e massimo impatto degli investimenti attraverso interventi sul codice degli appalti);
concorrenza (rafforzare la coesione sociale e sviluppare la crescita economica).

E’ un Piano che ha come principali beneficiari le donne, i giovani e il SUD e vuole contribuire a favorire l’inclusione sociale e a ridurre i divari tra i territori.
Il digitale assorbe il  27% delle risorse mentre il 40 % è dedicato agli investimenti per il contrasto al cambiamento climatico e dunque a favore della transizione ecologica, più del 10% sono indirizzati verso un tema estremamente importante in questo momento di crisi economica: la coesione sociale.

Il estrema sintesi, il Piano è articolato lungo le seguenti sei missioni:

“Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura”( 49,2 miliardi – di cui 40,7 miliardi dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e 8,5 miliardi dal Fondo). I suoi obiettivi sono promuovere la trasformazione digitale del Paese, sostenere l’innovazione del sistema produttivo, e investire in due settori chiave per l’Italia, turismo e cultura.

“Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica”, ( 68,6 miliardi – di cui 59,3 miliardi dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e 9,3 miliardi dal Fondo).I suoi obiettivi sono migliorare la sostenibilità e la resilienza del sistema economico e assicurare una transizione ambientale equa e inclusiva.

“Infrastrutture per una Mobilità Sostenibile”(31,4 miliardi – di cui 25,1 miliardi dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e 6,3 miliardi dal Fondo).
Il suo obiettivo principale è lo sviluppo razionale di un’infrastruttura di trasporto moderna, sostenibile e estesa a tutte le aree del Paese ( Alta velocità, potenziamento linee ferroviarie regionali, sistema portuale e digitalizzazione catena logistica.

“Istruzione e Ricerca”(31,9 miliardi di euro – di cui 30,9 miliardi dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e 1 miliardo dal Fondo).
Il suo obiettivo è rafforzare il sistema educativo ( Asili nido, scuole materne, servizi di educazione e cura per l’infanzia, edilizia scolastica), le competenze digitali STEM, la ricerca e il trasferimento tecnologico.
Inoltre, è prevista una riforma dell’orientamento, dei programmi di dottorato e dei corsi di laurea. 
Si punta sui percorsi professionalizzanti post diploma degli Istituti tecnici superiori (da non confondere con gli istituti tecnici e professionali) e si rafforza la filiera della ricerca e del trasferimento tecnologico.

“Inclusione e Coesione”(22,4 miliardi – di cui 19,8 miliardi dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e 2,6 miliardi dal Fondo).
Il suo obiettivo è facilitare la partecipazione al mercato del lavoro, anche attraverso la formazione, rafforzare le politiche attive del lavoro e favorire l’inclusione sociale (centri per l’impiego, imprenditorialità femminile, servizi sociali ed ed interventi per le vulnerabilità, etc.).

Salute”( 18,5 miliardi, di cui 15,6 miliardi dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e 2,9 miliardi dal Fondo).
Il suo obiettivo è rafforzare la prevenzione e i servizi sanitari sul territorio, modernizzare e digitalizzare il sistema sanitario e garantire equità di accesso alle cure (assistenza di prossimità diffusa sul territorio, case e ospedali di comunità, incremento assistenza domiciliare, telemedicina e assistenza remota, attrezzature nuove per diagnosi e cura, etc). 
Il Piano rafforza l’infrastruttura tecnologica per la raccolta, l’elaborazione e l’analisi dei dati, inclusa la diffusione del Fascicolo Sanitario Elettronico.

Per ciò che concerne la governance è prevista una responsabilità diretta dei ministeri e delle amministrazioni territoriali per la realizzazione degli investimenti e delle riforme secondo le scadenze previste mentre il Ministero dell’economia e delle finanze, attraverso un apposito sistema, avrà il compito di monitorare e controllare costantemente l’attuazione delle riforme e degli investimenti e funge da unico punto di contatto con la Commissione Europea.

Le premesse per fare bene ci sono tutte, occorre a questo punto augurarci buona fortuna e che “il gusto di futuro” abiliti entusiasmo e intelligenza collettiva in modo da assicurare una piena attuazione dei tanti e importanti progetti che, non senza fatica e ricercato consenso, sono stati programmati.

 




Dieta mediterranea vince la sfida mondiale

La dieta mediterranea nell’anno dell’emergenza sanitaria si è classificata come migliore dieta al mondo davanti alla dash e alla flexariana. Lo rende noto la Coldiretti sulla base del best diet ranking 2021 elaborato dal media statunitense U.S. News & World Report, noto a livello globale per la redazione di classifiche e consigli per i consumatori.

Il primato generale della dieta mediterranea è stato ottenuto grazie al primo posto ottenuto in ben cinque specifiche categorie: prevenzione e cura del diabete, difesa del cuore, mangiare sano, componenti a base vegetale e facilità a seguirla.

A contendere la vittoria della dieta mediterranea sul podio sono state quella dash contro l’ipertensione che si classifica al secondo posto e la flexariana, un modo flessibile di alimentarsi, al quarto posto la storica dieta ipocalorica weight watchers e al quinto la dieta della Mayo Clinic basata su una piramide che incrocia abitudini alimentari e comportamenti quotidiani come mangiare davanti alla tv, non fare attività fisica, assumere troppi zuccheri.

Il riconoscimento come miglior regime alimentare al mondo arriva a poco più di dieci anni dall’iscrizione della dieta mediterranea nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’Unesco avvenuta il 16 novembre 2010, grazie a una virtuosa ed equilibrata lista di alimenti come pane, pasta, frutta, verdura, carne, olio extravergine e il tradizionale bicchiere di vino consumati a tavola in pasti regolari che ha consentito all’Italia di conquistare il record di longevità in Europa.

Proprio l’emergenza sanitaria ha provocato una svolta salutista nei consumatori che hanno privilegiato la scelta nel carrello di prodotti alleati del benessere sia in Italia che all’estero. Lungo la Penisola infatti si registra un aumento medio del 9,7% dei consumi nel 2020 dei prodotti simbolo della dieta mediterranea come olio extravergine d’oliva, frutta e verdura fino alla pasta, secondo l’analisi Coldiretti su dati Ismea. A guidare la classifica della spesa mediterranea in Italia è la frutta con un incremento degli acquisti dell’11%. Al secondo posto l’olio extravergine d’oliva dove i consumi aumentano del 9,7%, davanti a verdura, con una crescita del 9%, e pasta (+8.9%), grazie al boom fatto registrare da penne e spaghetti certificate fatte con grano 100% Made in Italy.

Ad essere avvantaggiate sono state nell’ordine le esportazioni nazionali di conserve di pomodoro (+17%), pasta (+16%), olio di oliva (+5%) e frutta e verdura (+5%) che hanno raggiunto in valore il massimo di sempre. Anche negli Stati Uniti nonostante l’attacco subito negli ultimi anni da parte di Donald Trump grande sponsor del fast food nel 2021 con il nuovo presidente degli Stati Uniti Joe Biden e la first lady Jill Biden, di origini italiane, la dieta mediterranea, prototipo di stile di vita salutare, bilanciato e amico dell’ambiente, è tornata protagonista alla Casa Bianca. Non a caso Biden ha rimosso i dazi sui prodotti Made in Italy imposti dal suo predecessore, salvando le esportazioni di mezzo miliardo di euro di specialità tricolori.

Il primo posto nella classifica mondiale delle diete è anche una risposta ai bollini allarmistici e a semaforo fondati sui componenti nutrizionali che alcuni Paesi, dalla Gran Bretagna al Cile alla Francia, stanno applicando su diversi alimenti della dieta mediterranea sulla base dei contenuti in grassi, zuccheri o sale. “I sistemi di etichettatura nutriscore e a semaforo è fuorviante, discriminatorio e incompleto e finisce per escludere paradossalmente dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta” afferma il presidente di Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “si rischia di promuovere cibi spazzatura con edulcoranti al posto dello zucchero e di sfavorire elisir di lunga vita come l’olio extravergine di oliva considerato il simbolo della dieta mediterranea, ma anche specialità come il Grana Padano, il Parmigiano Reggiano ed il prosciutto di Parma le cui semplici ricette non possono essere certo modificate”.

TOP FIVE DIETE NEL MONDO NEL 2021
1)      Mediterranea
2)      Dash contro l’ipertensione
3)      Flexariana, un modo flessibile di alimentarsi
4)      Weight watchers, ipocalorica
5)      Mayo Clinic che incrocia alimenti e comportamenti




L’industria dei dati pubblici, il motore della riforma della PA

Aperti, aggiornati, strutturati, machine readable e corredati dai metadati: i dati prodotti dalle Pubbliche Amministrazioni, per essere realmente utilizzabili, dovrebbero avere almeno queste caratteristiche. Sono decenni, ormai, che si sente parlare delle numerose possibilità offerte dai dati e delle ricadute, in termini di conoscenza e di benessere collettivo, conseguenti alla loro condivisione.

Eppure, nonostante nel settore privato sia evidente il valore attribuito ai dati, talmente elevato da essere “pagato” con un corrispettivo in servizi gratuiti di ogni tipo, il settore pubblico sembra ancora troppo inconsapevole delle potenzialità informative di cui dispone e impreparato rispetto alle politiche da attuare.

In realtà, l’impreparazione è più che altro dovuta a una specie di ostruzionismo burocratico e formale che impedisce di definire degli accordi snelli e veloci tra le amministrazioni. Per questo, la condivisione dei dati, prima di arrivare alle questioni tecnologiche riguardanti la cooperazione applicativa, viene ostacolata da protocolli d’intesa manzoniani firmati e controfirmati da dirigenti, direttori e presidenti, che, nel migliore dei casi, richiedono mesi di tempo per essere formalizzati. Nel peggiore, le trattative terminano con un nulla di fatto.

C’è stato un periodo, circa quindici anni fa, in cui parlare di condivisione e open data andava di moda: chiunque si lanciava in riflessioni fantasiose e proiezioni spericolate di ogni tipo, a volte veniva perfino interpellato chi ne sapeva realmente qualcosa e che, proprio per questo motivo, è stato escluso dai consessi importanti. Poi, la moda è passata e la questione open data è stata considerata più o meno risolta.

Anche perché si è palesata una parola sicuramente più comunicativa, misteriosa e affascinante, il termine “big”, che ha avuto il potere di arrestare il processo di diffusione e di condivisione dei dati: tutto si è fermato ad alcune esperienze virtuose e a qualche file di testo che ancora resiste, eroicamente appeso alle pagine di un sito dimenticato, come una vecchia canottiera a costine stesa sui fili arrugginiti di una casa abbandonata. Come spesso accade, la normativa esiste ed è chiara: l’articolo I del CAD prevede che i dati aperti debbano essere:

disponibili con una licenza o una previsione normativa che ne permetta l’utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, in formato disaggregato;
accessibili attraverso le tecnologie digitali, comprese le reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti e provvisti dei relativi metadati;
resi disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie digitali, oppure resi disponibili ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione (salvo quanto previsto dall’articolo 7 del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36).

A dispetto delle norme, però, la situazione reale è ben diversa. In primo luogo perché all’interno delle PPAA non sembrano esserci molte persone che conoscano approfonditamente i dati e il loro ciclo di vita e siano in grado di attuare strategie di condivisione stabili e di lungo periodo. I dati prodotti e condivisi dalle istituzioni, almeno di quelle che fanno parte del Sistema Statistico Nazionale, dovrebbero garantire la qualità, la completezza dei metadati e il rispetto degli standard internazionali di diffusione.

Per produrre dei dati con queste caratteristiche, occorre industrializzare il processo di produzione e fare in modo che la diffusione non sia il compito di qualche volenteroso che inserisca manualmente un file di testo su uno dei tanti portali, ma la conclusione di un flusso informativo che passi per la raccolta, la validazione, l’archiviazione, la pubblicazione e, possibilmente, la visualizzazione.

Costruire “l’industria dei dati pubblici” è molto oneroso e impegnativo: la pandemia ha dimostrato ampiamente l’impreparazione del sistema Paese, soprattutto in una situazione di emergenza, nella costruzione di una metodologia di raccolta rigorosa e affidabile e di un sistema di validazione e di condivisione trasparente e strutturato. Questi limiti, in una condizione di normalità, devono spesso fare i conti anche con la duplice anima delle istituzioni, che producono contemporaneamente dati di flusso e dati di stock.

I due processi produttivi, pur avendo degli elementi comuni, sono governati da logiche molto diverse e richiedono l’impiego di metodologie e di tecnologie differenti per quanto riguarda le fasi di validazione, di diffusione e di visualizzazione. I dati di stock sono trattati attraverso l’impiego di tecniche consolidate e vengono aggregati con lo scopo di descrivere un certo fenomeno nella sua interezza, i dati di flusso descrivono l’evoluzione temporale di un fenomeno e, oltre a essere numericamente più consistenti, hanno delle specificità che richiedono trattamenti e tecniche di validazione e di diffusione diverse dai dati di stock, anche in relazione al GDPR.

La validazione dei dati di stock, generalmente riferiti a un intero anno, richiede molto tempo in quanto gli archivi si devono consolidare e il processo scientifico per garantirne la qualità è molto oneroso: questo vincolo non consente di avere dati aggiornati in tempo reale, ma permette di descrivere i fenomeni con molta precisione. La validazione dei dati di flusso segue un iter molto diverso, attraverso il quale non è al momento possibile garantire la stessa qualità dei dati di stock, ma in compenso risponde al bisogno crescente di numerosi ambiti di ricerca.

C’è poi una questione delicata che riguarda la distinzione tra i dati di sintesi e i dati puntuali: i primi possono essere trattati e condivisi senza vincoli particolari, i secondi, nella maggior parte dei casi, sono soggetti alla regolamentazione sul trattamento dei dati e impongono numerosi limiti non solo alla diffusione ma anche al trattamento e all’analisi da parte dei ricercatori.

Superato lo scoglio organizzativo e metodologico, che già di per sé rappresenta un limite notevole, c’è da affrontare la questione politica. Nonostante i proclami e le linee guida (molto spesso ignorate) dell’AGID, le pubbliche amministrazioni sono ancora dei feudi nei quali regnano le regulae societatis dei gesuiti, ovvero l’obbedienza incondizionata alle volontà dei superiori gerarchici e la negazione dell’evidenza, attraverso l’omissione della diffusione della conoscenza, per indirizzare il pensiero per mezzo di ordini precisi dettati dalla Divina Provvidenza, che, chissà perché, ha sempre sembianze molto umane.

Questo aspetto rende gli archivi delle istituzioni assimilabili a dei fortini inespugnabili, protetti da un recinto chiamato “privacy”, che ne legittima di fatto l’isolamento. Se è vero che negli ultimi anni la collaborazione tra istituzioni è stata rafforzata, e alcuni archivi, soprattutto stock, sono stati condivisi, è altresì vero che le metodologie adottate per la condivisione dei dati sono assolutamente inadeguate rispetto ai mezzi disponibili e fanno ricorso ancora a vecchi e insicuri metodi di trasferimento manuali (upload o FTP).

In altre parole, non esiste una governance nazionale che definisca strategie, metodi e infrastrutture di condivisione, esistono più che altro prassi sedimentate che non tengono conto delle evoluzioni del mondo e della tecnologia e, soprattutto, della necessità di creare un’industria dei dati pubblici. Eppure, le pubbliche amministrazioni dispongono di patrimoni informativi ricchissimi, che vanno dalle caratteristiche dei singoli individui ai dati economici, dai fabbisogni di personale ai bilanci, dalle competenze alle professioni svolte, attraverso i quali sarebbe possibile attuare consapevolmente tutte le riforme di cui il Paese ha bisogno.

Il rinnovamento della PA passa attraverso un reclutamento del personale più efficace e consapevole, un’erogazione dei concorsi pubblici fluida e trasparente, una valorizzazione del merito, della conoscenza e dell’esperienza dei lavoratori, un’ottimizzazione delle spese e degli assetti organizzativi attraverso l’attuazione di politiche sul lavoro sostenibili in termini economici, produttivi e ambientali.

È difficile, se non impossibile, immaginare una riforma che, ancora una volta, ignori il valore dei dati e faccia ricorso alla volontà della Divina Provvidenza. Se è proprio necessario arrendersi all’idea che la salvezza degli uomini non sia frutto del contributo di ciascun individuo al benessere della collettività, ma una specie di miracolo compiuto da uno dei tanti salvatori della Patria, molto cari alle masse, tanto vale identificare il salvatore nei dati e non in un santone improvvisato che dispensi l’elisir delle riforme perfette.




Aumenti luce e gas: con il mercato libero risparmi fino a 217 euro. In calo rispetto al 2020

Il 2021 prende il via con bollette luce e gas più pesanti. In base all’aggiornamento trimestrale dei prezzi stabilito da Arera, l’Authority di settore, le famiglie in regime di maggior tutela tra gennaio e marzo del 2021 spenderanno di più per la luce (+ 4,5%), ma anche per il gas (+ 5,3%).

Il passaggio al mercato libero, quindi, è un’opportunità concreta per alleggerire le spese per le utenze. Tuttavia, passare al mercato libero permetterà risparmi (seppur di poco) inferiori rispetto al 2020. L’ultimo studio SOStariffe.it ha calcolato quanto sarà possibile mettere da parte, distinguendo tre profili- tipo di consumo: un single, una coppia e una famiglia di quattro persone.

Vita da single: risparmi medi di 132 euro in un anno, in calo rispetto al 2020 (-6,54%)

I dati sono stati ricavati da SOStariffe.it avvalendosi del proprio comparatore offerte luce e gas. I costi e gli importi sono stati simulati sulla base della promozione più conveniente nel mercato libero a gennaio 2021, posta a confronto con la migliore offerta di ottobre 2020, per ciascun profilo di consumo. Il primo profilo considerato è quello di un single residente a Milano, con fabbisogno di luce pari a 1400 kWh e di gas di 500 Smc.

Approfittando delle migliori tariffe del momento sul mercato libero, il single riceverà in media quest’anno una bolletta della luce di 268 euro e una del gas di 322 euro. Sommando entrambe le utenze arriverà a spendere 590 euro. Si tratta di somma ben più alta se confrontata con la stessa spesa per luce e gas di ottobre 2020, pari a 567 euro (circa il 4% in più). Dunque, i rincari del primo trimestre 2021 sembrano avere un impatto anche per i clienti che non sono più in regime di maggior tutela.

Nonostante tutto, il passaggio al mercato libero risulta comunque conveniente anche se un po’ meno rispetto allo scorso anno. L’indagine, infatti, ha evidenziato che lo stesso single nel corso del 2020 riusciva a risparmiare 141 euro su entrambe le bollette mentre nel 2021 potrà risparmiarne solo 132 (circa il 6,54% in meno).

Coppie: nel 2021 risparmi attesi di 141 euro, tra luce e gas. Più bassi del 2020 (-28,78%)

Il secondo profilo di consumo esaminato dall’Osservatorio SOStariffe.it è quello di una coppia che vive a Milano con un fabbisogno annuo medio di 2400 kWh di luce e 800 Smc di gas. Anche per le coppie le bollette del 2021 si rivelano più gravose. Pur approfittando dell’offerta più economica attualmente reperibile sul mercato libero, le coppie dovrebbero sostenere una spesa media annua di 411 euro di luce e 510 euro di gas. Considerate entrambe le utenze, dunque, si arriva a spendere una media di 921 euro nel 2021 a fronte di soli 848 spesi nel 2020 (pari al 8,64% in più).

Gli importi possono variare a seconda che si scelga un’offerta monoraria o bioraria. A risentire meno degli aumenti sono le offerte monorarie a prezzo variabile. Anche in questo caso il passaggio al mercato libero risulta sempre vantaggioso, tuttavia la convenienza si è purtroppo attenuata rispetto allo scorso anno. Le coppie nel 2020 hanno potuto risparmiare su entrambe le utenze fino a 199 euro. Nel 2021 i risparmi si fermano a 141 euro (circa il 28,78% in meno).

Famiglie: fino a 217 euro di risparmi nel 2021. Appena meno (-5, 82%) del 2020

I nuclei familiari si confermano, come lo scorso anno, il profilo di consumo in grado di ottenere i maggiori risparmi con il passaggio al mercato libero. L’Osservatorio SOStariffe.it si riferisce a una famiglia tipo di 4 individui, con casa a Milano e un fabbisogno annuo di 3400 kWh di luce e 1400 Smc di gas.

Dal report emerge che, pur approfittando delle offerte più economiche sul mercato libero a gennaio 2021, le famiglie dovranno sostenere costi più elevati nel corso dell’anno appena iniziato. Con una spesa che si aggira per l’energia elettrica sui 566 euro e per il gas attorno a 842 euro.

L’impegno economico complessivo per le due utenze è pertanto pari a 1408 euro annui, mentre lo scorso anno, ad ottobre, si attestava sui 1370 euro (circa il 2,76% in più). Il passaggio al mercato libero consente dunque alla famiglia-tipo di risparmiare più di tutti gli altri consumatori considerati: ben 217 euro nel corso del 2021. Purtroppo, anche in questo caso, si registra un lieve calo (-5,82%) rispetto ai risparmi del 2020, che si aggiravano su 230 euro annui.

Alcuni consigli di risparmio: usare il comparatore e controllare i dati in fattura

Come fare a individuare l’offerta giusta nel mercato libero? La prima regola, e anche la più importante, e quella di utilizzare un comparatore, come il tool semplice e intuitivo messo a disposizione da SOStariffe.it, grazie al quale sono stati rilevati i dati di questa indagine.

Altra regola d’oro per il risparmio è verificare tutti i costi in bolletta, per non avere sorprese dopo la sottoscrizione di un nuovo contratto. Cosa significa? La bolletta della luce e quella del gas sono composte di varie voci. Alcune sono identiche per tutti i fornitori, in quanto stabilite dall’Autorità di settore. Il costo a cui prestare maggiore attenzione è, per la luce, quello relativo al prezzo energia e, per il gas, la spesa materia prima gas. Nel mercato tutelato è Arera, infatti, a fissare e aggiornare ogni tre mesi questo costo. Mentre nel mercato libero è il fornitore che lo sceglie e lo modifica in base a quanto indicato nelle condizioni contrattuali. Per evitare rincari nel breve periodo, conviene attivare tariffe con prezzo che resti bloccato quanto più a lungo possibile.

Come cambiare fornitore nel modo più intelligente

Individuiamo a questo punto le promozioni riservate a chi è in cerca di nuovo gestore. Fornendo i dati presenti in bollette al nuovo gestore, potremmo procedere al cambio di fornitura nel giro di un mese. Altro espediente utile a risparmiare è scegliere le offerte dual fuel, ovvero le promozioni che comprendono una doppia fornitura energetica (luce e gas). Le comodità di queste soluzioni consistono nella ricezione di una sola bolletta per entrambe le forniture e nella presenza di sconti extra per l’attivazione congiunta oltre al vantaggio di rivolgersi a un solo interlocutore. Infine, è sempre buona norma leggere le opinioni degli altri clienti in merito ad un determinato fornitore. Tali opinioni sono disponibili, oltre che sui siti dei medesimi gestori, su portali specializzati. Anche SOStariffe.it ha creato, sul proprio sito, uno spazio con le opinioni degli utenti. Una sorta di “passaparola” che ci aiuta a scoprire la reputazione digitale del nostro futuro fornitore.