Ci siamo già “giocati” gran parte della cosiddetta ripresa. Il caro bollette e il caro materie prime stanno gravando fortemente sul settore dell’artigianato e della micro impresa piemontese. Secondo i dati di un’indagine di CNA: 

  • Gli incrementi risultano infatti compresi tra il +18,6% nella filiera del turismo e il +33,1% nel settore delle costruzioni 
  • Le imprese che intendono ritoccare i listini al rialzo sono, infatti, il 62,8% nella manifattura e il 54,4% nelle costruzioni 
  • Il 77,5% ritiene invece che l’aumento del costo dell’energia possa determinare una riduzione dei margini di guadagno. Il resto si divide tra quanti pensano di dovere ridurre la produzione (10,6%) e quanti paventano addirittura il fermo dell’attività (6,8%) 
  • Il 37% delle imprese che intende rinviare gli investimenti programmati 

Sul fronte del caro materie prime, i numeri arrivano suddivisi per provincia all’interno della Regione Piemonte grazie a una sezione dedicata del rapporto Monitor Piccole Imprese 2021, presentato il 26 gennaio scorso e curato dal prof Daniele Marini, docente di sociologia dei processi economici all’Università di Padova, direttore scientifico di Research&Analysis di Community e responsabile scientifico del progetto Monitor Piccole Imprese di CNA Piemonte in collaborazione con UniCredit. 

  • In Piemonte i costi di approvvigionamento di materie prime sono aumentati in modo significativo per 81,3% delle imprese 
  • La metà fra gli interpellati (55,6%) dichiara aumentato il livello di prezzo dei prodotti finiti. Mentre il 41,2% ha ritenuto più utile mantenere i livelli di prezzo, assorbendo così la maggiorazione dei costi e limando i propri margini. Molto poche sono le ditte che hanno potuto abbassare i prezzi ai clienti (3,2%) 
  • In ambito provinciale, sono le ditte cuneesi (+61,2) e alessandrine (+61,2) ad avere incrementato maggiormente i prezzi finali, mentre verbanesi (+45,9), astigiane (+45,5) e biellesi (+42,4) sono fra quelle che più di altre l’hanno mantenuto invariato.  
  •  Chi in misura maggiore ha cercato un aumento dei prezzi finali sono state le ditte più strutturate (+61,5, 5-9 addetti). Soprattutto sono le ditte dell’edilizia (+70,2) ad aver incrementato i prezzi finali. 

“Il panorama che avevamo davanti qualche mese fa all’insegna dell’ottimismo e della crescita, oggi si porta dietro il tema del rallentamento. Elemento significativo ed estremamente preoccupante sono il calo dei consumi e l’aumento dell’inflazione che stiamo registrando nelle ultime settimane. Sono elementi che fotografiamo nei timori della popolazione e nella parallela risposta dei mercati. Per questo abbiamo chiesto e chiediamo che i decisori politici nazionali e regionali si impegnino prioritariamente su questo fronte” ha dichiarato il segretario regionale di CNA Piemonte Delio Zanzottera. “Dobbiamo lavorare insieme alla Regione Piemonte e alle altre istituzioni alla creazione di politiche pubbliche a favore delle nostre imprese in un momento delicato come quello che stiamo vivendo. Siamo infatti ben lontani dalla fine dell’emergenza. Qualora questo momento rappresentasse la fine della pandemia come l’abbiamo vissuta, l’emergenza per le nostre imprese permarrà ancora per un tempo che non siamo in grado di circoscrivere”, ha aggiunto il presidente regionale di CNA Piemonte Bruno Scanferla. 

 

Bollette – Caro Energia: le imprese si riducono i guadagni o aumentano i prezzi finali, col rischio del blocco della produzione 

 Per le imprese che hanno partecipato all’indagine CNA nella media dei dodici mesi 2021 gli aumenti delle bollette risultano molto più marcati: rispetto al 2019 gli incrementi risultano infatti compresi tra il +18,6% nella filiera del turismo e il +33,1% nel settore delle costruzioni.  

La portata degli aumenti del prezzo dell’energia pagato dalle imprese potrebbe concorrere ad alimentare le pressioni inflazionistiche in maniera significativa nel 2022. Il 53% delle imprese crede infatti di trasferire i rincari sui prezzi dei loro prodotti. Di queste, il 44,7% intende farlo in misura parziale, l’8,4% interamente. 

 L’aumento dei prezzi di vendita nei prossimi mesi appare più probabile nei settori dell’industria: le imprese che intendono ritoccare i listini al rialzo sono, infatti, il 62,8% nella manifattura e il 54,4% nelle costruzioni. Si tratta di settori che, se da un lato presentano processi produttivi con consumi energetici in media più elevati, dall’altro subiscono un effetto a cascata poiché operano in filiere nelle quali già i fornitori di beni intermedi e di semilavorati hanno aumentato i prezzi di vendita in risposta al caro-energia. 

 La più alta incidenza della spesa per le materie energetiche sui costi totali riguarda in particolare le imprese manifatturiere, mentre il rincaro dei beni intermedi sta interessando soprattutto il settore delle costruzioni alle prese anche con la scarsità dei prodotti intermedi e dei semilavorati. A questo proposito è probabile che nel settore delle costruzioni, che ha registrato una forte espansione nel 2021, il 17,6% delle imprese che dichiara di volere traslare interamente i rincari sui prezzi di vendita sia costretta a farlo anche a causa delle difficoltà di approvvigionamento. 

La preoccupazione manifestata dal sistema produttivo nei riguardi dei rincari energetici, che molto spazio ha trovato nei media, è confermata dalle indicazioni delle imprese intervistate. Tra queste, infatti, solo il 5% immagina che l’impennata dei prezzi dell’energia non avrà effetti significativi sulla loro attività. 

 Il 77,5% ritiene invece che l’aumento del costo dell’energia possa determinare una riduzione dei margini di guadagno. Si tratta di un dato preoccupante considerando che la ripresa registrata nel 2021, pur significativa, non è stata sufficiente in molti settori a ripianare le perdite determinate dalla recessione innescata dalla pandemia. 

Il resto del campione si divide tra quanti pensano di dovere ridurre la produzione (10,6%) e quanti paventano addirittura il fermo dell’attività (6,8%). 

Rispetto alla media del campione, il timore di una diminuzione dei profitti appare più diffusa nel commercio (85,9%) e nei servizi per la persona (79,2%). Si tratta di quei settori che più di altri hanno subito le restrizioni sociali necessarie per contrastare la pandemia (le attività commerciali sono state spiazzate dalla forte diffusione delle vendite on-line mentre i servizi per la persona, che comprendono estetisti e parrucchieri, sono stati i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire). 

 La possibilità di dovere ridurre la produzione è paventata invece soprattutto dalle imprese manifatturiere (13,4%) che, come detto, sono quelle con consumi energetici mediamente più alti. Il fermo dell’attività è infine una eventualità considerata soprattutto dalle imprese operanti nella filiera del turismo (24%). 

Le imprese sono intenzionate a intraprendere iniziative per mitigare gli effetti negativi derivanti dal caro-bollette. 

La riduzione delle spese correnti, diverse da quelle attinenti all’acquisto dei prodotti energetici, è l’azione di contrasto maggiormente richiamata dagli intervistati (43,6%) insieme ad un più frequente aggiornamento dei listini (42%). Rilevante appare poi la quota di imprese che intende rinviare gli investimenti programmati (37%). Le azioni appena citate rappresentano evidentemente interventi di rapida attuazione, posti in essere per tamponare immediatamente l’emergenza. 

 Meno diffuse appaiono invece le azioni di natura strutturale. Le imprese che dichiarano di volere investire in tecnologie di efficientamento energetico sono infatti il 19,2% del totale, quelle che invece pensano di dovere ridurre gli organici e/o il monte salari sono rispettivamente il 10,8% e il 7,6% del campione. 

Questo il quadro generale. A livello settoriale però le risposte delle imprese risultano piuttosto eterogenee. 

 

La riduzione delle spese correnti diverse dall’energia è una strategia che risulta diffusa soprattutto nel settore dei trasporti (53,6%). Si tratta di un dato non sorprendente considerando il forte peso dell’energia stessa (in questo caso i combustibili per autotrazione) sul totale dei costi aziendali. 

La manifattura è invece il settore dove si intende contrastare il caro-energia con un mix di interventi. Da un lato, infatti, circa la metà delle imprese (il 50,8%) contempla la possibilità di aggiornare frequentemente i listini. Dall’altro, data la consapevolezza di operare in condizioni di forte concorrenza (molte imprese manifatturiere rivolgono la loro offerta anche oltre confine), appare molto consistente la quota di rispondenti che pensa di reagire al caro-bolletta rinviando al futuro investimenti già programmati (41%). 

Le scelte più drastiche, che implicano un ridimensionamento strutturale delle attività svolte, sono segnalate con maggiore frequenza nei settori che hanno riportato le maggiori perdite durante la recessione. Tra questi spicca la filiera del turismo dove molto consistente è la quota di imprenditori che crede di dovere licenziare (24%) e/o ridurre il costo complessivo delle retribuzioni/compensi (19,8%). 

 

I costi delle materie prime: Asti e Cuneo le più colpite 

 I costi di approvvigionamento di materie prime per le imprese sono aumentati in modo significativo per una parte cospicua (81,3%) delle interpellate, in una misura eccezionale rispetto a tutte le rilevazioni precedenti. Mentre solo per il 17,4% sono rimasti stabili nell’ultimo periodo e per una quota marginale (1,3%) sono diminuiti. Il saldo sale a +80,0, nettamente più elevato rispetto agli anni precedenti. 

Primo semestre 2021: i costi delle materie prime (rispetto al secondo semestre 2020; val. %) 

Costi materie prime  Aumento  Stabile  Diminuzione  Saldo 
2021  81,3  17,4  1,3  +80,0 
2020*  37,0  57,2  5,8  +31,2 
2019**  55,2  43,4  1,4  +53,8 
2018***  61,1  37,1  1,8  +59,3 
Province         
Alessandria  87,1  12,0  0,9  +86,2 
Asti  82,8  16,1  1,1  +81,7 
Biella  72,8  27,2  0,0  +72,8 
Cuneo  85,4  14,6  0,0  +85,4 
Piemonte Nord  80,5  17,8  1,7  +78,8 
Novara  80,9  19,1  0,0  +80,9 
Verbania-Cusio-Ossola  76,5  22,3  1,2  +75,3 
Vercelli  80,0  13,3  6,7  +73,3 
Torino  81,4  16,9  1,7  +79,7 
Dimensione         
1 addetto (titolare)  76,3  21,3  2,4  +73,9 
2-4 addetti  81,4  17,1  1,5  +79,9 
5-9 addetti  85,7  13,7  0,6  +85,1 
Oltre 10 addetti  83,2  16,8  0,0  +83,2 
Settore         
Manifatturiero  85,6  13,3  1,1  +84,5 
Edilizia  90,0  9,4  0,6  +89,4 
Commercio e servizi  71,0  26,8  2,2  +68,8 
Fatturato         
Fino a 50mila€  78,8  19,0  2,2  +76,6 
50-100mila€  79,9  19,4  0,7  +79,2 
101-500mila€  81,7  17,5  0,8  +80,9 
Oltre 501mila€  85,8  13,5  0,7  +85,1 
Apertura mercati         
Diretta  83,4  14,8  1,8  +81,6 
Indiretta  79,8  19,0  1,2  +78,6 
Domestico  81,9  17,0  1,1  +80,8 

 

All’interno dell’universo degli interpellati non si rilevano fratture di rilievo, a mettere in luce come il tema dei costi accomuni l’intero sistema produttivo. A voler individuare le realtà più problematiche possiamo sottolineare come le imprese alessandrine (87,1%) e cuneesi (85,4%) denuncino le maggiorazioni di costi più elevate, e così pure le ditte dell’edilizia (90,0%), quelle che presentano i fatturati più elevati (85,8%, oltre 500 mila €) o che hanno sbocchi diretti su mercati esteri (83,4%). In ogni caso, il tema dell’aumento dei costi coinvolge indifferentemente l’intero sistema produttivo. 

 

Primo semestre 2021: il prezzo dei prodotti finiti (rispetto al secondo semestre 2020; val. %) 

Prezzo prodotti finiti  Aumento  Stabile  Diminuzione  Saldo 
2021  55,6  41,2  3,2  +52,4 
2020*  21,3  69,1  9,6  +11,7 
2019**  26,2  66,7  7,1  +19,1 
2018***  31,0  62,8  6,2  +24,8 
Province         
Alessandria  63,8  33,6  2,6  +61,2 
Asti  48,9  47,7  3,4  +45,5 
Biella  47,8  46,8  5,4  +42,4 
Cuneo  62,2  36,8  1,0  +61,2 
Piemonte Nord  53,8  43,8  2,4  +51,4 
Novara  55,8  42,4  1,8  +54,0 
Verbania-Cusio-Ossola  47,1  51,7  1,2  +45,9 
Vercelli  57,1  35,8  7,1  +50,0 
Torino  56,1  40,3  3,6  +52,5 
Dimensione         
1 addetto (titolare)  51,4  43,8  4,8  +46,6 
2-4 addetti  53,6  42,8  3,6  +50,0 
5-9 addetti  63,8  33,9  2,3  +61,5 
Oltre 10 addetti  54,3  44,2  1,5  +52,8 
Settore         
Manifatturiero  46,8  49,7  3,5  +43,3 
Edilizia  71,2  27,8  1,0  +70,2 
Commercio e servizi  46,0  49,2  4,8  +41,2 
Fatturato         
Fino a 50mila€  48,7  47,0  4,3  +44,4 
50-100mila€  55,4  41,2  3,4  +52,0 
101-500mila€  59,1  38,3  2,6  +56,5 
Oltre 501mila€  63,7  34,9  1,4  +62,3 
Apertura mercati         
Diretta  61,3  35,6  3,1  +58,2 
Indiretta  53,2  41,6  5,2  +48,0 
Domestico  55,9  41,9  2,2  +53,7 

 

Parzialmente diversa è la questione dei prezzi dei prodotti finiti. Nonostante il costo dell’approvvigionamento sia aumentato per una quota importante, tale incremento si scarica solo parzialmente sul prezzo finale. La metà fra gli interpellati (55,6%) dichiara di avere realizzato un aumento, in decisa crescita rispetto alle precedenti rilevazioni. Mentre il 41,2% ha ritenuto più utile mantenere i livelli di prezzo, assorbendo così la maggiorazione dei costi e limando i propri margini. Molto poche sono le ditte che hanno potuto abbassare i prezzi ai clienti (3,2%). 

In questo caso, possiamo osservare alcune articolazioni interessanti: 

In ambito provinciale, sono le ditte cuneesi (+61,2) e alessandrine (+61,2) ad avere incrementato maggiormente i prezzi finali, mentre verbanesi (+45,9), astigiane (+45,5) e biellesi (+42,4) sono fra quelle che più di altre l’hanno mantenuto invariato. 

Chi in misura maggiore ha cercato un aumento dei prezzi finali sono state le ditte più strutturate (+61,5, 5-9 addetti). Soprattutto sono le ditte dell’edilizia (+70,2) ad aver incrementato i prezzi finali. 

Infine, sono state costrette a comprimere maggiormente i prezzi quelle imprese che hanno sbocchi diretti sui mercati internazionali (+58,2). 

Come si è potuto osservare, nel rapporto fra costi di approvvigionamento e definizione dei prezzi finali non esiste una correlazione simmetrica. Le ditte artigiane e le piccole imprese hanno conosciuto un aumento rilevante nel 2021 dei costi delle materie prime e dei servizi, ma cercano di contenere il rincaro dei prezzi finali, limando così i margini al fine di rimanere competitive sui mercati. Tuttavia, una simile strategia è plausibile per chi ha strutture dimensionali che consentano di distribuire all’interno dell’impresa il minor introito, chi realizza prodotti o servizi particolarmente richiesti dal mercato o è presente su mercati più ampi di quello domestico. Viceversa, le aziende con più difficoltà (le ditte edili o quelle con pochissimi addetti) cercano più di altre di scaricare il costo sul prezzo finale, ma con esiti che non sembrano sortire effetti particolarmente positivi

41,6  5,2  +48,0 
Domestico  55,9  41,9  2,2  +53,7 

 

Parzialmente diversa è la questione dei prezzi dei prodotti finiti. Nonostante il costo dell’approvvigionamento sia aumentato per una quota importante, tale incremento si scarica solo parzialmente sul prezzo finale. La metà fra gli interpellati (55,6%) dichiara di avere realizzato un aumento, in decisa crescita rispetto alle precedenti rilevazioni. Mentre il 41,2% ha ritenuto più utile mantenere i livelli di prezzo, assorbendo così la maggiorazione dei costi e limando i propri margini. Molto poche sono le ditte che hanno potuto abbassare i prezzi ai clienti (3,2%). 

In questo caso, possiamo osservare alcune articolazioni interessanti: 

In ambito provinciale, sono le ditte cuneesi (+61,2) e alessandrine (+61,2) ad avere incrementato maggiormente i prezzi finali, mentre verbanesi (+45,9), astigiane (+45,5) e biellesi (+42,4) sono fra quelle che più di altre l’hanno mantenuto invariato. 

Chi in misura maggiore ha cercato un aumento dei prezzi finali sono state le ditte più strutturate (+61,5, 5-9 addetti). Soprattutto sono le ditte dell’edilizia (+70,2) ad aver incrementato i prezzi finali. 

Infine, sono state costrette a comprimere maggiormente i prezzi quelle imprese che hanno sbocchi diretti sui mercati internazionali (+58,2). 

Come si è potuto osservare, nel rapporto fra costi di approvvigionamento e definizione dei prezzi finali non esiste una correlazione simmetrica. Le ditte artigiane e le piccole imprese hanno conosciuto un aumento rilevante nel 2021 dei costi delle materie prime e dei servizi, ma cercano di contenere il rincaro dei prezzi finali, limando così i margini al fine di rimanere competitive sui mercati. Tuttavia, una simile strategia è plausibile per chi ha strutture dimensionali che consentano di distribuire all’interno dell’impresa il minor introito, chi realizza prodotti o servizi particolarmente richiesti dal mercato o è presente su mercati più ampi di quello domestico. Viceversa, le aziende con più difficoltà (le ditte edili o quelle con pochissimi addetti) cercano più di altre di scaricare il costo sul prezzo finale, ma con esiti che non sembrano sortire effetti particolarmente positivi. 

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