Dall’11 marzo al 22 marzo a causa del COVID 19, ben 68.751 le imprese artigiane del Piemonte sono state costrette a sospendere l’attività (pari al 59,6% del totale); il conto sale a 72.068 se si considerano anche le attività per le quali è prevista la possibilità di fare consegne a domicilio.

 

La stima della perdita di fatturato che le imprese artigiane piemontesi subiranno in questo mese di chiusura a causa del Coronavirus (dal 12 marzo al 13 aprile 2020), ammonta almeno a 662 milioni di euro.

 

La stima è stata costruita a partire dal fatturato di ciascun settore ATECO, calcolando la perdita sulla base dei giorni di chiusura di ciascuna attività a partire dal 12 marzo fino al 13 aprile 2020. I dati sono forniti dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre.

 

I comparti più colpiti sono anche quelli più rappresentativi di tutto il settore: le costruzioni, la manifattura (metalmeccanici, legno, chimica, plastica, tessile-abbigliamento, calzature, etc.) i servizi alla persona (acconciatori, estetiste, calzolai, etc.), la pasticceria ecc.

 

“La pandemia si sta portando via quello che resta delle micro imprese artigiane, già duramente provate da un decennio di crisi – dichiara Dino De Santis, Presidente di Confartigianato Torino – le pasticcerie e cioccolaterie artigianali hanno dovuto tenere chiusa la saracinesca proprio in uno dei periodi dell’anno più propizio. L’edilizia, che rappresenta numericamente il comparto più importante delle imprese artigiane, non può lavorare perché non è in grado di garantire gli standard previsti per la sicurezza, le imprese del benessere sono state tra le prime ad essere penalizzate, a fronte di un esercito di abusivi che, invece, lavora indisturbato ecc. Gli incassi sono azzerati, gli affitti delle botteghe e dei capannoni vanno comunque pagati, e la conseguenza di queste chiusure forzate è verosimile che comporterà entro quest’anno, la chiusura di tante imprese artigiane”.

 

Una situazione, quella che sta vivendo l’artigianato in queste settimane, molto difficile e che si sovrappone ad un quadro generale altrettanto pesante che negli ultimi 10 anni ha visto crollare il numero delle imprese presenti in questo settore. Tra il 2009 e il 2019, infatti, le aziende artigiane che in Piemonte hanno chiuso definitivamente sono state 20.673, pari al -15,2 %. Se nel 2009 lo stock era pari a 136.015, al 31 dicembre dell’anno scorso il numero è sceso a 115.342.

 

A fronte delle difficoltà che certamente si intensificheranno nei prossimi mesi, c’è un elenco di vecchi mestieri artigiani che, già in forte agonia, rischiano di scomparire definitivamente, o professioni che sono in via di estinzione a causa delle profonde trasformazioni tecnologiche in atto, come l’arrotino, il barbiere, il calzolaio, il canestraio, il ceraio, il cordaio, il vetraio ma anche il fotografo, il legatore, il guantaio, il materassaio, il mugnaio, l’ombrellaio, il sellaio ecc.

 

“La città di Torino sta perdendo lentamente i vecchi mestieri, che rischiano l’estinzione – continua  De Santis – tutto questo incide non solo sull’aspetto economico ma anche su quello sociale, perché in questo modo si interrompe la trasmissione di quel patrimonio di saperi e competenze che vengono irrimediabilmente perdute”.

 

“La chiusura di ogni singola bottega – prosegue De Santis – incide anche a livello sociale, perché ogni impresa, con la sola presenza, svolge il preziosissimo compito di presidiare il territorio assicurando, ai cittadini, una forma di sicurezza. Dove non ci sono botteghe, dove non c’è artigianato e commercio, ecco che potrebbe aprirsi la via al degrado e al malaffare”.

 

“Dobbiamo essere tempestivi e concreti per evitare che dall’emergenza sanitaria si passi a un’emergenza sociale – commenta De Santis – e il Piano Straordinario per la Liquidità delle Imprese, dell’ingente erogazione di credito, con la garanzia dello Stato, varata dal Decreto del Presidente del Consiglio, va nella direzione giusta per consentire la ripresa. Non va bene però che le imprese che avranno necessità di accedere a importi superiori a 25 mila euro, debbano fare in banca la trafila degli ordinari esami di sostenibilità economico finanziaria e di verifica andamentale. Cosa c’è di ordinario e normale in questi giorni, in queste settimane? “

“Dobbiamo essere messi nelle condizioni, in maniera semplice e diretta, di poter garantire il posto di lavoro ai nostri collaboratori e sostenere le nostre famiglie – conclude De Santis – Finita l’emergenza sanitaria non vorremmo assistere ad episodi estremi, come quello dei sucidi di imprenditori che non avevano retto le conseguenze della crisi durata per un decennio”.

 

 

 

 

 

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