L’indagine congiunturale trimestrale, realizzata a settembre da Confindustria Piemonte, la terza durante l’emergenza Covid-19, conferma le attese ed è in linea con i risultati di analoghi sondaggi condotti a livello nazionale ed europeo.

Il clima di fiducia delle imprese piemontesi rimane pessimistico, ma gli indicatori migliorano in modo talvolta sensibile rispetto a giugno (mese immediatamente successivo alle fine del lockdown).

Le oltre 1.200 imprese del campione si attendono un miglioramento della situazione di mercato nei prossimi mesi. Gli indicatori registrano un marcato progresso rispetto allo scorso trimestre, pur restando al di sotto della soglia tra previsioni di aumento e diminuzione.

Nel comparto manifatturiero, il 17,1% delle imprese prevede un aumento della produzione, contro il 28,6% che si attende una diminuzione. Il saldo (pari a -11,5 punti percentuali) migliora di oltre 20 punti rispetto a giugno. Sostanzialmente analoghe le previsioni sugli ordinativi: il 19% si attende un aumento (contro il 32%).

Rallenta anche la velocità di caduta dell’export, ma le prospettive restano comunque molto incerte. Migliora il tasso di utilizzo degli impianti, che guadagna 4 punti rispetto a giugno, pur restando al di sotto della media storica.

Resta negativo l’andamento della redditività, ma si riduce la quota di aziende che si attendono un ulteriore peggioramento. Migliora la situazione dei pagamenti: la percentuale di imprese che segnalano ritardi diminuisce di quasi 20 punti, pur restando abbastanza elevata in prospettiva storica. Cala ma rimane elevato il ricorso alla CIG, esploso a livelli record nei mesi scorsi: a settembre il 39% delle aziende prevede di farvi ricorso (era il 55% a giugno).

Nella maggior parte dei settori le attese restano sfavorevoli, ma si osserva un’attenuazione del pessimismo. Fanno eccezione impiantisti, gomma-plastica e industria elettrica, che registrano saldi positivi dopo una fase decisamente cedente. Nel comparto metalmeccanico gli indicatori sono complessivamente un po’ più favorevoli della media, anche se la meccanica strumentale non dà segnali di assestamento.

Anche nel comparto dei servizi gli indicatori migliorano in misura apprezzabile rispetto a giugno ma la maggioranza delle imprese si attende, anche per gli ultimi mesi dell’anno, condizioni di mercato recessive. Aumenta il tasso di utilizzo delle risorse aziendali. Diminuisce di 10 punti il ricorso alla CIG, ancora elevato per gli standard del settore. In calo anche la quota di imprese che segnala ritardi nei pagamenti.

A livello territoriale gli indicatori migliorano in gran parte dei casi, ma le valutazioni delle imprese restano molto diverse. La situazione più difficile riguarda certamente il biellese, con attese fortemente negative, condizionate senza dubbio dall’andamento del settore tessile – uno dei più colpiti dalla recessione.

I miglioramenti più sensibili si registrano a Novara e soprattutto nel canavese. A Novara il saldo ottimisti-pessimisti ritorna sul livello di equilibrio dopo due trimestri fortemente negativi. Nel canavese il saldo torna addirittura in zona espansiva, tuttavia la sostenibilità di questa apparente svolta andrà verificata nei prossimi mesi.

Qualche miglioramento, in un quadro comunque ancora molto problematico, si osserva anche ad Alessandria, Cuneo, Verbania e Vercelli; il clima di fiducia rimane improntato al pessimismo, ma in attenuazione.

A Torino, non diversamente da quanto osservato a livello regionale, le attese delle imprese rimangono negative ma il miglioramento degli indicatori è significativo. Nell’industria, i saldi ottimisti-pessimisti riferiti a livelli produttivi e ordini totali migliorano di 25 punti rispetto a giugno; ancora in calo l’export, ma si riduce la percentuale di pessimisti e aumenta quella di ottimisti. Il ricorso alla CIG diminuisce di venti punti (da 59% a 39%), anche se resta molto elevato. Il tasso di utilizzo degli impianti si riporta al 70%.

L’indagine conteneva tre domande sintetiche sugli effetti del coronavirus, a due mesi dalla riapertura dopo il lungo lockdown. La maggioranza delle 1.200 aziende rispondenti (48,4%) giudica “significative ma recuperabili” le perdite complessive subite per effetto della crisi; un ulteriore 36,5% ritiene “limitato” l’impatto. Più pessimista il residuo 15,1% delle aziende, che ritiene “molto gravi” gli effetti economici del virus.

Restringendo la valutazione all’andamento del 2020, il 35,3% prevede una “contenuta” riduzione del fatturato; per il 32,7%, invece, la contrazione del fatturato sarà “forte” e per un più pessimista 4,8% sarà “molto forte”. All’estremo opposto si pone il 23,4% delle imprese che prevede di chiudere il 2020 con un fatturato “sostanzialmente stabile” rispetto allo scorso anno. Il 3,9% delle aziende rispondenti prevede addirittura un fatturato “in crescita”.

Quali tempi avrà la ripresa? La maggioranza delle imprese (37,5%) ritiene che il recupero dei livelli pre-crisi possa avvenire “entro il 2021. Secondo il 10,3% dei rispondenti i tempi saranno più brevi (“entro il 2020”) mentre per una percentuale di poco superiore (14,1%) saranno invece più lunghi (“entro il 2022 o oltre”). È elevata la quota di imprese (37,8%) che ritiene “non prevedibili” i tempi del pieno recupero. Irrilevante la percentuale di imprese che non vedono un futuro (0,3%).

«Il nostro sondaggio di settembre – commenta Marco Gay, Presidente di Confindustria Piemonte – fa registrare alcuni segnali incoraggianti ma non deve alimentare un eccessivo ottimismo. Le imprese sono ripartite e la maggioranza dichiara di avere subito perdite anche ingenti ma recuperabili nei prossimi mesi. Tuttavia le condizioni di mercato restano incerte, soprattutto all’estero; non possiamo dare per scontato che la ripresa sia ormai decollata e possa prendere velocità in modo lineare e automatico. Al contrario, molti fattori possono bloccare o invertire il percorso della ripresa: a partire dal rischio ancora concreto di nuove ondate di contagi e di un secondo lockdown».

«L’emergenza non è finita – commenta il Presidente dell’Unione Industriale di Torino, Giorgio Marsiaj. In questa delicata, complessa fase di riavvio dei meccanismi della crescita, è essenziale che al sistema produttivo vengano garantite le migliori condizioni per investire e produrre. Ci troviamo in un momento storico forse unico nel dopoguerra: avremo a disposizione risorse senza precedenti e potremo contare sul sostegno dell’Europa. È essenziale che gli sforzi vengano concentrati su poche, chiare priorità di lungo periodo, come hanno saputo fare i nostri partner europei, a partire da Francia e Germania. I programmi di investimento devono procedere in parallelo alle riforme strutturali».

Riportiamo in dettaglio i principali risultati dell’indagine.

Comparto manifatturiero.
Per le oltre 900 aziende del campione, prosegue si attenua la negatività delle attese. Le previsioni per il quarto trimestre 2020 su produzione, ordini, export e occupazione sono ancora negative ma in recupero rispetto alla rilevazione di giugno. Rallenta il ricorso agli ammortizzatori sociali, che interessa il 40% delle imprese.
In particolare il saldo sulla produzione totale passa da -33,3% a -11,5% e quello sugli ordinativi totali da -35,5% a -13,3%. Le attese sull’export passano da -29,7% a -14,5%. In parziale recupero anche le previsioni sull’occupazione, il cui saldo passa da -16,0% a -4,5%.
In questa situazione di incertezza, si accentua la correlazione tra produzione e propensione alle esportazioni: tutte le imprese, di ogni dimensione, subiscono una battuta di arresto. Le piccolissime esportatrici, che vendono all’estero meno del 10% del fatturato, registrano un saldo ottimisti pessimisti fortemente negativo (-17,5%), le piccole che esportano dal 10 al 30% del fatturato totalizzano -14,6%. Per le medie esportatrici, che esportano tra il 30 e il 60% del fatturato, il saldo è -8,7%, mentre per le grandi (oltre 60% del fatturato) è -0,9%.
Cresce l’ampiezza del divario tra la performance delle imprese con oltre 50 addetti e quelle più piccole, con saldi rispettivamente pari a +6,7% (era -19,1% a giugno) e -20,2% (era -40,4%).
Si attenua il ricorso alla CIG, quasi il doppio rispetto a giugno; ne fa richiesta il 39,2% delle aziende (dal 55,1% della scorsa rilevazione, a fine lockdown).
Il 16,1% delle rispondenti ha programmi di investimento di un certo impegno (erano il 15,9% a giugno). Recupera il tasso di utilizzo della capacità produttiva, che passa dal 65% al 69%.
Varia un poco la composizione del carnet ordini, in particolare calano le aziende con ordini per meno di un mese (27,1%) e aumentano quelle con visibilità 1-3 mesi (48,8%). Restano più o meno stabili quelle che hanno ordinativi per un periodo di 3-6 mesi (14,6%) e oltre i 6 mesi (9,5%).
Si assestano i tempi di pagamento che, dopo un temporaneo aumento, tornano di 85 giorni; per la Pubblica Amministrazione i tempi medi sono di 89 giorni. È fornitore degli enti pubblici circa il 18% delle aziende manifatturiere. Cala significativamente il numero di imprese che segnalano ritardi negli incassi (36,3%).

A livello settoriale la metalmeccanica registra un saldo ancora negativo tra ottimisti e pessimisti (-8,1%); soffrono in particolare metallurgia (-14,3%) e macchinari e apparecchi (-16,9%). Prosegue il momento positivo per l’industria elettrica (+6,5%); recupera l’automotive (+10,0%).

Tra gli altri comparti manifatturieri, spicca l’andamento ancora negativo di legno (-45,0%), cartario-grafico (-32,4%), tessile-abbigliamento (-26,1%), chimica (-13,0%), manifatture varie (-10,5%), alimentare (-5,7%), edilizia (-6,1%). Inversione di tendenza per la gomma-plastica (+7,4%) e per gli impiantisti (-16,7%).

A livello territoriale gli indicatori migliorano in gran parte dei casi, ma le valutazioni delle imprese restano molto diverse. A Novara il saldo ottimisti-pessimisti ritorna sul livello di equilibrio dopo due trimestri fortemente negativi. Nel canavese il saldo torna addirittura in zona espansiva, con un balzo di oltre 50 punti rispetto a giugno; tuttavia la sostenibilità di questa apparente svolta andrà verificata nei prossimi mesi.

Qualche miglioramento, in un quadro comunque ancora molto problematico, si osserva anche ad Alessandria, Cuneo, Verbania e Vercelli; il clima di fiducia rimane improntato al pessimismo, ma in attenuazione.

A Torino, non diversamente da quanto osservato a livello regionale, le attese delle imprese rimangono negative ma il miglioramento degli indicatori è significativo.
A livello territoriale, il clima di fiducia migliora in molte aree del Piemonte, ma le valutazioni sono molto eterogenee. Clima positivo nella zona di Ivrea e a Novara (con saldi rispettivamente +5,0% e 0,0%). Ancora negative ma in miglioramento le attese a Alessandria (-13,1%), Cuneo (-16,1%), Verbania (-11,5%) e Vercelli (-10,8%), Torino (-6,3%). Situazione ancora fortemente negativa a Biella (-28,2%), territorio profondamente colpito dalla crisi del tessile.

Comparto dei servizi
Per le quasi 350 aziende del campione si confermano indicatori negativi, come a marzo e giugno.

In particolare, il saldo ottimisti-pessimisti sui livelli di attività passa da -17,5% a -2,6%. Quello ordini totali passa da -18,1% a -5,2%. Il saldo sull’occupazione da -3,1% a -2,3%.
Le imprese con programmi di investimento di un certo rilievo passano da 14,5%, a 15,2%.
Recupera il tasso di utilizzo delle risorse (78%), mentre si assesta il ricorso alla CIG, che passa dal 36,7% al 26,3%.

Anche nel terziario si registra qualche variazione per la composizione del carnet ordini. Scendono al 12,3% le aziende con ordini per meno di un mese, il 39,0% ha ordinativi per un periodo di 1-3 mesi, il 22,6% per 3-6 mesi, mentre scendono a 26,1% quelle con visibilità oltre i 6 mesi. Migliorano i tempi di pagamento. La media è di 70 giorni: il ritardo scende a 89 per la Pubblica Amministrazione, con cui ha rapporti di fornitura circa il 45% delle aziende del campione. In aumento le imprese che segnalano ritardi negli incassi (55%).

A livello settoriale, com’era prevedibile, recuperano i trasporti (5,6%), le utility (+25,0%) e gli altri servizi (+1,1%). Ancora leggermente negativi i servizi alle imprese (-1,4%) e l’ICT (-5,4%), mentre il comparto commercio e turismo continua a soffrire profondamente (-19,6%).

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